Qualche giorno fa ho finito Black Myth: Wukong, un gioco a mio avviso incredibile che ha peraltro ottenuto un successo globale con quasi 20 milioni di copie vendute. Se ci pensate è impressionante. Un piccolo studio indipendente cinese che debutta con tale prepotenza e sbaraglia persino i famosi “quadrupla A” occidentali. Fino a qualche anno fa sarebbe stato fantascienza. Eppure, oggi, il mercato dei videogiochi sta subendo un’evoluzione interessantissima. Sentiamo già nell’aria da diverso tempo che il clima è cambiato. Sempre più giocatori si dicono stanchi dei videogame moderni, tutti troppo uguali fra loro e senza un briciolo di ambizione.
Un gioco come Star Wars Outlaws è l’esempio perfetto di questo paradigma. Open world in terza persona pieno di fuffa e missioni ripetitive, mancanza di originalità e mordente, focus disperato sullaggggrafica spaccamascella accalappiagonzi, season pass e microtransazioni al lancio, edizioni digitali da centinaia di euro con accesso anticipato, mediocrità a palate e ovviamente gli immancabili elementi woke e politicamente corretti. Il tipico esempio di titolo fast food per le masse. Il punto è che oggi le masse sono un po’ più sveglie. La stragrande maggioranza dei videogiocatori ne ha le palle piene di questa roba. E persino i colossi che si credevano intoccabili se ne stanno rendendo conto, basti vedere gli ultimi flop multimilionari di Sony, Warner Bros e affini.
Eh ma il mercato è in crisi, ci dicono, tra inflazione, cali di fatturato, licenziamenti ed eccesso di competizione. Già. Poi escono giochi come Stellar Blade, Warhammer Space Marine 2 e Wukong, tutti privi degli elementi citati prima, e vendono milionate. Coincidenze? Chissà. Però questi giochi hanno qualcosa in comune. E quel qualcosa potrete riscontrarlo se vi fate un giro sugli aggregatori di recensioni come Metacritic e Opencritic. È la valutazione media. Si piazzano tutti intorno al 70-80, numeri che purtroppo, oggi come oggi, non sono più percepiti come buoni. Se un titolo non ha almeno 90, nella logica dei bambini speciali, non è niente di che. Insomma, dai, passabile.
E per questo dobbiamo ringraziare i blogger di IGN e simili, personaggi di un elevato spessore culturale con la fissa per i pronomi e l’uomo arancione. Gente così professionale che apre dibattiti politici sullo status quo in America nella recensione di una PlayStation 5. Gente così abile da dare ad Alien Isolation un 5,9 perché non riesce ad avere la meglio su un’intelligenza artificiale. Gente così montanara da lamentarsi della “troppa acqua” nella recensione di Pokémon ORAS. Gente così casta da affibbiare un 3 a Bayonetta perché la protagonista è troppo sexy. Gente così progressista da premiare Gone Home con il GOTY. Gente così… così.
La stessa gente che ha premiato dei clamorosi flop come Dustborn e Concord con voti anche superiori al 7. Ah, ricordo ancora i bei tempi di Giochi per il mio Computer e The Games Machine. Quando leggevi con piacere i pareri di persone davvero appassionate del loro lavoro, veri videogiocatori, non attivisti da tastiera che guadagnano passivamente con i banner di Ubisoft sul loro sito web. Alla fine delle recensioni ti rendevi conto di quanto e se un gioco fosse effettivamente divertente e valido. A quei tempi, fare il redattore significava essere autorevole, competente, con anni di esperienza alle spalle. Chiaro, non che fossero tutti dei luminari del medium, ma di certo non raschiavamo il fondo del barile come oggi.
Dall’estinzione delle riviste e il passaggio al digitale, innumerevoli blogger hanno iniziato a cimentarsi nell’hobby di recensire videogiochi. Alcuni di essi, per ragioni ancora sconosciute, ce l’hanno fatta e ricoprono ruoli di editor all’interno di redazioni rilevanti nel mondo gaming/tech. Da un po’ di anni a questa parte, però, i maggiori siti di informazione videoludica attraversano una dura parabola discendente. Bassi introiti pubblicitari, minori fondi stanziati dagli azionisti, utenza scarsamente interessata e spostatasi su altri canali. Ed ecco che iniziano ad arrivare gli articoli clickbait, o addirittura ragebait, scritti in modo tale da suscitare polemiche e spingere in qualche modo gli utenti a cliccarci sopra.
Di questo genere di articoli fanno parte gli attacchi ai giocatori in stile GamerGate e opinioni/review particolarmente controverse. Non è raro, infatti, trovare riferimenti sociopolitici di bassa lega nelle recensioni odierne, alcune mascherate meglio di altre. E non stiamo parlando del sitarello con 10 visite giornaliere ma dei maggiori esponenti del settore, senza eccezioni. Ad almeno ogni uscita di rilievo corrispondono 3-4 recensioni dei principali siti settoriali con all’interno considerazioni di natura politica o ideologica, che spesso inficiano negativamente la valutazione finale. Ciò ha portato sempre più utenti ad allontanarsi da tali siti e informarsi tramite canali indipendenti su YouTube e Twitch.
Ora, torniamo a Black Myth Wukong, perché voglio usarlo come caso studio. Dovete sapere che diversi mesi prima del lancio, era circolata una notizia riguardante gli sviluppatori e il loro presunto rifiuto a una consulenza da 7 milioni di dollari da Sweet Baby Inc. Per chi non lo sapesse, Sweet Baby Inc. è una tra le più note aziende americane che si occupano di intervenire sui prodotti di intrattenimento per far sì che siano “diversi e inclusivi”, rendendoli woke e politicamente corretti. Il loro zampino si trova, tra gli altri, su Forspoken, Gotham Knights, Assassin’s Creed Valhalla, Suicide Squad: Kill the justice league, Alan Wake 2, Dustborn e Concord.
Ora, casualmente, dopo il rumor del rifiuto di Game Science, IGN ha pubblicato un articolo diffamatorio nei loro confronti, accusandoli di sessismo e misoginia. Pensate che, non avendo alcuna prova valida, sono andati a ripescare dei post di diversi anni prima sui profili privati di alcuni sviluppatori su un social cinese, dove dialogavano con la community raccontandogli del gioco e di alcuni design dei nemici. La traslitterazione di IGN, poi rivelatasi errata, mostrava un membro dello staff scherzare sulla “non scopabilità” di una donna serpente e un tweet in cui una presunta ex collaboratrice di Game Science, non residente in Cina, si lamentava della loro misoginia.
Non solo, ma nei mesi successivi i giornalettisti di IGN sono anche andati a disturbare il team a fiere ed eventi, importunandoli con richieste pressanti di rispondere alle loro stupide illazioni. E di recente si è anche venuto a sapere che un attivista cinese, spinto dalla campagna d’odio online generata da IGN e compagni, ha vandalizzato l’ingresso dello studio di Game Science con insulti e minacce scritti sul muro. Ma come, io pensavo che i violenti fossero solo quelli dall’altra parte dello schieramento… Fossi in Game Science avrei querelato IGN per diffamazione, del resto non hanno portato alcuna prova reale e verificabile di ciò che comunque non si configura come un reato.
Ma la domanda è… perché arrivare a tanto? Alcuni blogger cinesi, che di sicuro non amano né gli americani né tantomeno la propaganda woke, hanno scritto di presunti legami tra membri della stampa specialistica americana, tra cui l’autrice dell’articolo, con Sweet Baby Inc. e affini. Il che non sarebbe per nulla strano, considerando quanto certe redazioni tessano le lodi di spazzatura conforme al DEI. A me, comunque, interessa ben poco di gombloddi e cospirazioni. Ma alla fine della fiera, è interessante notare come Wukong abbia ricevuto una valutazione di 8 da IGN che, se confrontato con il 7 di Dustborn, sa molto di presa per il culo. È evidente che si vogliano punire certe tipologie di titoli e premiarne altre. Nella recensione di Wukong di Screen Rant la redattrice ha addirittura inserito la mancanza di “inclusione e diversità” tra i contro. In un gioco ispirato a un romanzo del 1600 dove il protagonista è una scimmia armata di bastone. Grasse risate.
Ma poi, chi lo dice che debbano per forza esserci inclusione e diversità? Cos’è, la nuova quota rosa? A me risulta che un videogioco debba essere divertente e appagante. Se poi lo sviluppatore vuole includere bianchi, neri, gialli, verdi e rossi saranno pure cavoli suoi. E se recensisci un gioco, chi ti legge si aspetta che parli di gameplay, narrativa, struttura, tecnica… non sicuramente delle tue pippe mentali da attivista. Questa gente dovrebbe soltanto cambiare mestiere.
E non mi rivolgo soltanto agli attivisti, ma anche ai presunti fanboy mascherati da guru del gaming che scrivono su siti nostrani. Da questi attempati relitti saccenti ci si aspetterebbe un minimo di imparzialità in più, e invece li vedi usare due pesi e due misure fingendo oggettività. È simpatico pensare ai loro 9,5 regalati a titoli ben lontani dall’eccellenza, solo perché il publisher di turno li ha coccolati a sufficienza o minacciati di non inviargli più la roba. Carino vederli glissare sui difetti evidenti nel platform, level design, boss design, quest secondarie e comparto tecnico del DLC di Elden Ring per poi cercare il pelo nell’uovo sui muri invisibili di Wukong. Quanto scommettiamo che non si sarebbe beccato 7 se lo avesse realizzato Fromsoftware? Ridicoli. Non saprei come altro descriverli.
Ma vabbè, per lo meno sono sempre più irrilevanti, a tal punto che più cercano di affossare dei titoli, più ne decretano il successo. E roba come Hogwarts Legacy ne è un chiaro esempio. Ciò è ancor più evidente quando si osservano le recensioni del pubblico su piattaforme come Metacritic, dove spesso c’è un’enorme disparità tra i punteggi della critica e quelli degli utenti. I giochi che vengono elogiati per il loro messaggio o inclusività spesso non riescono a catturare l’interesse dei giocatori o addirittura floppano. E allora, perché la stampa sembra così lontani dal pubblico che dovrebbe servire? Forse la risposta sta nel fatto che molti dei giornalisti settoriali di oggi non sembrano amare molto i videogiochi.
La loro attenzione si è spostata dalla celebrazione dei giochi come forma di intrattenimento alla loro critica come mezzo per veicolare messaggi politici e sociali. E così facendo, hanno alienato il pubblico principale che una volta pendeva dalle loro labbra. Alla fine, non importa più a nessuno di quello che scrivono questi signori. I giocatori hanno smesso di ascoltarli. Il potere e l’influenza che siti come IGN e Kotaku esercitavano una volta si sono ridotti quasi a zero. La comunità dei videogiochi è andata avanti e coloro che non riescono a riconoscere questo cambiamento vengono lasciati indietro, parlando a un pubblico praticamente inesistente.
Continuiamo a ignorarli e forse, un giorno, ce li toglieremo finalmente dalle balle.