Qualche giorno fa ho avuto una sorta di battibecco con il caporedattore di uno dei siti per cui scrivo. Il motivo? L’aver assegnato un voto “incredibilmente basso” a un videogame secondo lui non così pessimo, anche in relazione ad altri esponenti dello stesso genere ritenuti di molto inferiori. Devo ammettere di essere rimasto un tantino spiazzato da tali affermazioni, non tanto per la successiva richiesta di alzare il voto (che ho ovviamente declinato) ma per il fatto che si trattava di un 6,5. La sufficienza abbondante, insomma, quella che in genere si prende a scuola quando si studia ma in modo superficiale.
Ora, per chiunque abbia un minimo di buonsenso e sappia utilizzare i criteri di valutazione un sei e mezzo non è voto incredibilmente basso. Non ci sarebbe neanche molto da discutere, in verità. Tuttavia, al giorno d’oggi, buona parte di pubblico, critica, publisher e sviluppatori sembra avere un parere diverso.
La convinzione incriminata riguarda la struttura stessa della scala di valutazione. Essa non viene più concepita come uno strumento per quantificare il gradimento del redattore nei confronti di un determinato prodotto. No, è diventata soltanto la risposta categorica alla domanda ultima dell’utente, incerto se acquistarlo o meno. Il dilemma sorge spontaneo: quando un videogame merita l’acquisto e quando lo scaffale? Negli ultimi tempi si è diffusa la malsana idea che qualsiasi voto inferiore all’8 equivalga alla bocciatura. Niente di più falso, naturalmente, visto che a rigor di logica e d’enciclopedia si può parlare di mediocrità solo al di sotto del 6. Il problema nasce da una serie di concause, quasi tutte influenti allo stesso modo.
Ciao, ci siamo permessi di “bocciare” The Division
Una prima sorgente di distorsione è la progressiva perdita di autonomia e autorevolezza da parte della critica, oggi quanto mai prezzolata e dedita al compiacimento del publisher AAA di turno. Senza ovviamente dimenticare gli amici PR che la sostengono economicamente con banner e inserzioni pubblicitarie.
Ammettiamo che vi paghino per inserire l’annuncio relativo a un videogame mediocre in homepage. Cosa fate? Lo stroncate con un votaccio andando contro i vostri stessi interessi oppure preferite addolcire i toni e gonfiare la valutazione? La stragrande maggioranza dei siti big sceglie a occhi chiusi l’ultima opzione, e si vede. Salvo rare eccezioni, infatti, è praticamente impossibile che la stampa specializzata “punisca” l’Assassin’s Creed o il Battlefield di turno con un punteggio minore di 8, a prescindere dalla qualità della produzione.
Sarà forse la voglia di finire tra i top reviewer su Metacritic, quelli dei 10 a Skyrim e Horizon Zero Dawn. Magari, chissà, le minacce in stile Corleone dei tanti Ziello avranno sortito l’effetto desiderato. Sennò basta immaginare quali meravigliosi regali donati agli eventi review si siano impossessati dell’imparzialità del redattore in via del tutto automatica. Sì, perché sapete, i PR riempiono alcuni redattori di regali. Collector’s Edition da 100 e passa euro, modellini, action figure, DVD, hardware da gioco. Basta avere il nome giusto, la giusta importanza e una lingua abbastanza muscolosa per leccare culi particolarmente pelosi.
Fatto sta che dietro i voti “gonfiati” c’è ben poco di corretto e a farne le spese sono, come sempre, gli utenti. Sì, gli stessi che non leggono la recensione e si fiondano subito sul voto senza un minimo di raziocinio. D’altronde, però, appare difficile biasimarli in toto.
Ciao, ci siamo permessi di “bocciare” il primo Destiny
Capita talora di leggere recensioni di colleghi e accorgermi che il numeretto finale non rispecchi per nulla i contenuti dell’articolo. A volte sembra invece che non si voglia procedere con una reale critica in senso negativo. Lungi da me voler mettere in discussione la loro professionalità ma le dissonanze risultano spesso troppo evidenti. Poi che si tratti di disonestà verso il consumatore o di sudditanza psicologica cambia davvero poco. Il vero problema, qui, risiede negli effetti che queste recensioni all’acqua di rose provocano nel lettore.
Si parte dal presupposto che i videogame tripla A siano dei blockbuster, opere di grande spessore il cui budget ne giustifica i punteggi stellari. Se ci pensate succede anche nel mercato di smartphone e tablet, persino delle auto. Più un oggetto è costoso, più diventa inconcepibile valutarlo negativamente. In questi casi l’8 politico assume il valore di “sufficiente affinché tu spenda i tuoi soldi”. Qualora invece si parli di un indie allora la scala di valutazione torna magicamente a funzionare come dovrebbe, facendo spiovere 3, 4 e 5 a volontà, peraltro non sempre meritati. Questo è uno dei motivi per cui le vedute del gamer medio siano così ristrette limitandosi al FIFA e al COD annuale.
Si premia e si dà visibilità a pochi titoli, ovviamente i più facoltosi, mentre si svilisce una notevole fetta del mercato indie.
Ciao, ci siamo permessi di bocciare Star Wars Battlefront
I giocatori, di conseguenza, vengono convinti dell’infallibilità delle grandi produzioni e all’apparire di voci fuori dal coro iniziano i cataclismi. Guai a dare un 8,5 anziché un 9, si tratta di un’ingiustizia intollerabile. 7 a Breath of the Wild? Punibile con la reclusione. Solo un 8 a Destiny 2? Il recensore dev’essere licenziato. Si è permesso di esprimere il suo parere.
È ovviamente facile addossare tutte le colpe della psicosi del voto alla massa internettiana. Bisognerebbe invece rendersi conto di quante responsabilità abbiano le testate editoriali, supine di fronte alle pressioni (implicite o esplicite) dei publisher e incapaci di far valere la propria autonomia preferendo dedicarsi anima e corpo alla venerazione del dio denaro.
Duole ammettere che l’onestà non paga. Nel migliore dei casi, se dai meno di 7 a un videogame EA, Ubisoft, 2K e compagnia rischi di essere gentilmente avvertito. Nel peggiore, smettono di mandare codici al tuo sito e vieni classificato come una pericolosa mina vagante da disinnescare. Ecco, in sintesi, perché non vedrete quasi mai un tripla A scendere sotto la media del 70 su Metacritic. Ed ecco anche perché dovremmo iniziare a fregarcene delle valutazioni numeriche, se non abolirle del tutto, dando alla vera analisi critica l’importanza che merita.
E non mi si venga più a dire che il 6,5 è un brutto voto perché la mia autostima scolastica, in retrospettiva, ne risentirebbe oltremodo.