Dopo la serie di mezzi passi falsi compiuta dagli ultimi giochi a tema Warhammer, il piccolo studio indipendente svedese Fatshark, noto agli estimatori di War of the Roses/Vikings, è riuscito a trasporre con maestria l’atmosfera del celebre wargame in un action cooperativo multiplayer in prima persona che risponde al nome di Warhammer: End Times – Vermintide, conquistandosi il favore di critica e utenti, estasiati in seguito all’hands on con la beta.
Adesso il periodo di early access si è concluso e noi siamo pronti a darvi il nostro parere a seguito di una prova approfondita del prodotto finale.
Warhammer: End Times – Vermintide
Vermintide prende le mosse dal periodo buio e catastrofico di End Times offrendo un’ulteriore prospettiva sulle vicende interne all’Impero di Sigmar, costretto a fronteggiare da una parte l’invasione dei selvaggi uomini del nord e dall’altra un’oscura minaccia sotto la cui potenza distruttiva l’hinterland di Ubersreik sta ormai soccombendo.
La luna caotica Morrslieb spadroneggia alta nel cielo, mentre all’interno delle viscere terrestri un potente stridìo risale in superficie facendo tremare case e strade: gli Skaven sono tornati, più furiosi che mai.
Dalle macerie insanguinate sorgono allora cinque valorosi eroi, ognuno proveniente da un tessuto sociale diverso ma con in mente l’unico obiettivo di eradicare l’infezione salvando i possedimenti imperiali appartenenti a Franz.
Come già detto l’atmosfera di Warhammer non manca affatto, anzi viene centrata in pieno dagli sviluppatori (probabilmente fan della serie) grazie all’utilizzo di un setting ispiratissimo che trasuda pericolo e decadenza come pochi altri adattando la narrativa alle interazioni con l’ambiente da parte dei personaggi.
Nulla di complesso, sia chiaro; occorre di sentire i cacciatori discutere riguardo agli eventi in game o raccontare aneddoti sul proprio passato, mentre il resto della trama si scopre ascoltando il briefing nell’hub prepartita.
Esso è rappresentato da una particolare locanda dentro cui si trovano inventario, forgia ed elenco missioni con accesso diretto al matchmaking.
Il baule dell’inventario contiene tutti gli oggetti equipaggiabili dai cinque personaggi a disposizione del player, suddivisi in cappelli, armi da taglio, armi a distanza e reliquie, queste ultime atte a fornire bonus passivi.
L’efficacia di tali equipaggiamenti, misurata nel dettaglio da una serie di statistiche come attacco, velocità, danni e range, varia a seconda del livello di rarità degli stessi, da normale a leggendario, aspetto da tenere fortemente in considerazione qualora si volessero affrontare i gradi di difficoltà più alti in quanto i pezzi più rari posseggono da uno a tre slot runici contenenti potenziamenti sostanziali tra cui effetti elementali aggiuntivi, aumento di determinate statistiche e così via.
Ottenere un’arma non porta via molto tempo giacché in genere basta vincere una partita o salire di livello, tuttavia la qualità del loot dipende da molteplici elementi in prevalenza casuali.
A seguito di una vittoria, infatti, al giocatore viene chiesto di tirare dei dadi che determineranno la qualità del bottino; aumentare le probabilità di ricevere laute ricompense si può ma solo raccogliendo tomi e grimori, nascosti a regola d’arte nei meandri delle mappe di gioco.
Tra un’arma comune ed una rara la differenza può ancora essere definita marginale ma andando avanti il divario arriva a diventare addirittura impietoso, costringendo dunque i giocatori a ricorrere al tedioso quanto efficace grinding.
La forgia, invece, asserve tre funzioni: può creare un oggetto di rarità superiore utilizzandone cinque dello stesso grado, potenziarne di esistenti sbloccando abilità speciali a patto che posseggano la corrispettiva runa e infine smantellare armi ricavando pietre preziose utili all’upgrade.
Sul tavolo al piano terra della locanda si trova la mappa con i tredici livelli della campagna, sbloccabili progressivamente e suddivisi in tre atti per una durata complessiva di 7 ore circa incluse le inevitabili sconfitte di chi si approccia al gioco per la prima volta.
Non siamo entusiasti della mole contenutistica del titolo, a dire il vero. Tredici livelli non sono tanti, se si considera l’assenza di modalità alternative in grado di donare rigiocabilità come il PVP, e temiamo che Fatshark possa cadere nel pantano dei DLC a ripetizione seguendo il pessimo esempio di Overkill con Payday, giusto per citarne uno.
Ma passiamo adesso al fulcro dell’esperienza.
Il matchmaking funziona in modo veloce ed efficiente, quindi una volta avviata una partita si viene catapultati quasi istantaneamente in game insieme agli altri tre giocatori che, nel caso non fossero presenti, vengono sostituiti da bot dotati di un’ottima intelligenza artificiale.
Quel che si nota dai primi secondi di gioco è l’impressionante somiglianza al collega Left for Dead, a partire dai cinque slot appartenenti rispettivamente ad arma primaria, secondaria, pozioni curative/medikit, elisir dall’effetto temporaneo e ordigni.
Qui però il sistema guadagna in profondità e mentre al melee vengono aggiunti attacchi caricati, schivate e parate in stile Chivalry, il ranged si arricchisce di una modalità di fuoco alternativa che varia in base all’arma equipaggiata, sia essa una pistola, un arco o un bastone magico.
Qualsiasi strumento offensivo in Vermintide è dotato di un feedback notevole, unico in certi casi, che regala grandi soddisfazioni se usato correttamente, soprattutto quando si combattono cospicui sciami di nemici.
Simile ma più aperta anche la struttura dei livelli, decisamente intricati e più votati alla verticalità per sfruttare appieno l’arsenale AOE degli eroi nonché zeppi di zone segrete dove tesori e imboscate sono all’ordine del giorno.
Generalmente l’obiettivo delle missioni consiste nello svolgimento di determinate azioni contestuali (ad esempio far saltare postazioni di vedetta piazzando barili esplosivi) al luogo in cui ci si trova per poi fuggire a bordo di una carrozza, il problema è che tali mansioni restano più o meno le stesse durante tutta la campagna donando una spiacevole sensazione di déjà-vu e un odio viscerale per sacchi e barili che faticherà ad andar via.
Per quanto riguarda i nemici, gli uomini-ratto Skaven, il lavoro svolto ci ha convinto pienamente.
Caratterizzati con estrema cura sia sotto il punto di vista estetico che comportamentale, i topi umanoidi attaccano a testa bassa spostandosi in continuazione per non dare punti di riferimento ed evitare di essere colpiti arrivando a provocare ingenti danni anche quando in piccoli gruppi.
Le varianti ricalcano a grandi linee le gerarchie di zombie in Left for Dead, con una schiera di ratti speciali quali l’intelligente mix tra smoker e spitter chiamato Globadier, il jockey della situazione detto Packmaster, il pericolosissimo assassino furtivo Gutter Runner, il mitragliatore Ratling Gunner e l’immancabile tank, il gigantesco Rat Ogre.
Inoltre nel corso delle partite alcune interazioni triggereranno incursioni di orde e truppe di soldati corazzati che verranno indicate in anticipo da suoni abbastanza riconoscibili così da permettere ai giocatori di posizionarsi presso i punti di vantaggio per pianificare meglio manovre offensive e difensive.
Detto ciò non pensiate di poter camperare sfruttando i bachi dell’IA perché Vermintide non permette scorciatoie del genere, sia a causa dell’intraprendenza dei nemici che del loro respawn a volte randomico.
L’ingente numero di ratti agguerritissimi a schermo va di pari passo con la difficoltà del titolo, ostico e impegnativo persino a livello di difficoltà normale dunque ben lontano dalla definizione di casual.
Inutile specificare che si muore spesso; in caso di azzeramento dei punti vita, comunque, si ha a disposizione un certo periodo di tempo nel quale venir rianimati dai compagni, dopodiché però sopraggiunge la morte e si è costretti ad attendere che il team raggiunga il prossimo punto di respawn per essere liberati.
Graficamente, Vermintide dà spettacolo.
Non solo il motore del gioco restituisce agli scenari di Warhammer un fascino tetro che inquieta e stordisce insieme, complici l’ottimo sistema di illuminazione, gli effetti particellari, la qualità di modelli, animazioni, il TAA e il SSAO davvero efficienti, ma il tutto gira egregiamente anche su hardware datati, con l’unica criticità di consistenti cali del framerate in situazioni concitate.
Pregevole il comparto acustico, soprattutto grazie ad effetti sonori che aiutano molto l’immersione e accrescono la credibilità di locazioni e nemici così come la soundtrack atmosferica composta da Jesper Kyd.
Con Warhammer: End Times – Vermintide Fatshark è riuscita nell’impresa di coniugare un mondo di gioco tra i più affascinanti sulla scena videoludica ad un genere atipico per i canoni della serie, eppure dal gameplay profondo ed estremamente divertente.
Seguire la scia di alcuni successi del genere si è rivelata, in fin dei conti, una scelta saggia dal momento che ogni elemento preso a prestito ha subito un deciso rimordernamento in grado di mischiare le carte in tavola e conferire a Vermintide una personalità ben definita.Purtroppo non sono tutte rose e fiori, dato che gli obiettivi interni alle missioni principali sono davvero troppo simili fra loro e le ricompense dettate dal lancio di dadi portano i giocatori a grindare per ore al fine di ottenere un singolo oggetto; la sola modalità campagna, poi, non basta a mantenere viva a lungo la rigiocabilità del titolo e l’annuncio da parte del team svedese di rilasciare contenuti aggiuntivi a pagamento durante prossimi mesi ci spaventa alquanto.
Se siete disposti ad ignorare tali mancanze ed avete almeno 2 amici con cui giocarlo, però, il nostro consiglio è quello di non lasciarvelo sfuggire.