Data di Uscita 13 Ottobre 2014
Piattaforme PC Windows, PlayStation 3, PlayStation 4, Xbox 360, Xbox One
Versione recensita PlayStation 3
Un libro non va mai giudicato dalla copertina ma neanche dall’autore.
Al contrario, quanto accaduto con The Evil Within dopo il rilascio di alcuni trailer dai toni piuttosto cupi che lasciavano immaginare una rinascita del genere survival horror per mano del maestro Shinji Mikami, l’hype dei più è schizzato alle stelle e le aspettative sul cosiddetto figlio di Resident Evil e Silent Hill affollavano la mente dei fan del genere.
Il trend, suo malgrado, si è invertito subito dopo le prime prove a tu per tu con il titolo e le preview dedicategli mostravano i primi segni di diffidenza nonché vere e proprie bocciature a causa di una tendenza all’azione e una sostanziale penuria di elementi che avrebbero potuto incutere paura nel giocatore smaliziato.
Ecco però che arriva la smentita finale: al momento delle review, infatti, una buona fetta di redattori si sono dichiarati sorpresi e soddisfatti, specie rispetto a quanto visto in precedenza e hanno promosso il lavoro di Tango Gameworks a pieni voti, persino con l’eccellenza.
Un’altra frangia, invece, ha ritenuto The Evil Within una grande occasione gettata alle ortiche e, soprattutto in ottica PC, si è sollevato un polverone di notevoli dimensioni a causa dei gravissimi problemi tecnici che hanno afflitto il gioco durante la settimana d’uscita.
Noi abbiamo provato la versione old gen (PS3), menzionata poco e male da una critica sempre più concentrata sulla next-gen e siamo pronti a fornirvi il nostro onesto e misurato parere.
The Evil Within – L’action che non ti aspetti
The Evil Within si apre subito in modo semplice e diretto, con la sbrigativa presentazione di una task force guidata dal protagonista, Sebastian Castellanos, che sta recandosi al Beacon Mental Hospital della città di Krimson per investigare su una misteriosa strage avvenuta all’interno dell’ospedale.
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Da questo frangente in poi, almeno fino al capitolo 9, si viene sottoposti ad un continuo spostamento tra diverse allucinazioni facenti da ponte tra realtà e incubo e Sebastian viene letteralmente sballottato qua e là senza fili logici o connessioni tra le scene.
Dal momento che gli eventi si susseguono in modo disomogeneo, frammentato e confusionario, è lecito e spontaneo dubitare della presenza di una coerenza narrativa degna di tale nome. Si passa da sezione a sezione senza la minima idea di ciò che stia accadendo e, benché alcuni misteri vengano svelati nella seconda metà del gioco, questo modello di narrazione estremamente vago e strapieno di cliché – che dovrebbe rappresentare una sorta di flusso di coscienza dentro la mente di uno psicopatico – fallisce miseramente nell’intento di spiegarsi e appassionare l’utenza che preferisce un approccio story based mettendo da parte il gameplay.
Ciò che dovrebbe essere l’intreccio si riduce a liberare aree dagli zombie, aprire porte, tirare leve e passare alla prossima zona o visione che dir si voglia, il tutto accompagnato da script, cutscene a iosa e un tono fortemente action che nullifica i già pochi elementi survival horror appiccicati con la saliva dal buon Mikami.
Sì, perché The Evil Within, a dispetto degli spaventosi trailer, non fa paura.
Inizia in modo convincente inserendoci in un riuscitissimo contesto oppressivo, claustrofobico e putrefatto che tormenta vista e udito ma sfuma con l’avanzare dei capitoli fino a mimare scenari e situazioni appartenenti più a The Last of Us che ad un Resident Evil.
Parliamo di un titolo single player only che pecca proprio nel suo aspetto fondamentale, presentando una base sicuramente solida e dalle ricche promesse che sfocia però in una trama sottile, distorta, quasi inesistente, progettata per scherzare con la mente dei player ma che non stimola il loro interesse lasciando tra l’altro innumerevoli quesiti irrisolti dato che persino il finale (se possiamo chiamarlo così) sprizza inconsistenza e dubbiosità da ogni poro.
Ciò che non aiuta e, anzi, fa calare un’impietosa ascia sul capo dello sceneggiatore sono, come prevedibile, i personaggi.
Sebastian è il tipico detective duro e forgiato dall’esperienza che non lascia mai trasparire alcuna emozione neanche nelle circostanze più avverse e assurde. Non ha alcuna personalità, non crea connessioni emotive con lo spettatore e si limita a far da mero stuntman fino alla fine, sfoggiando una potenza e una temerarietà degne del miglior Stallone.
Se il protagonista potrebbe essere paragonato ad un robot, il resto del cast asserve (male) alla funzione di rottura della monotonia attraverso sporadici dialoghi talvolta imbarazzanti e, come se non bastasse, privi di qualsivoglia espressività.
Il ruolo dei secondari sembra marginale ma è in realtà importantissimo. Essi intervengono più volte in nostro aiuto o in nostra offesa e condizionano attivamente lo svolgimento delle vicende ma, di contro, non possiedono alcun background, risulta difficile inquadrarli caratterialmente e le loro (motiv)azioni solo talora indecifrabili: insomma, come acquazzoni estivi, appaiono e scompaiono all’improvviso ma nessuno se ne accorge.
Persino i travagliati retroscena sul passato dell’antagonista appaiono fumosi e quanto mai stereotipati.
Qual è il vero scopo di Kidman, da chi prende ordini e perché? Cosa si cela nel passato di Leslie?
A cosa erano finalizzati gli esperimenti di Ruvik?
Queste e tante altre risposte nel prossimo DLC a pagamento di The Evil Within.
Ad ogni modo, la durata complessiva si attesta sulle 15-20 ore circa a livello di difficoltà normale.
Non è semplice archiviare la discussione sulla trama, soprattutto in un gioco come questo, ma occorre giungere al nocciolo, ovvero alle meccaniche.
Gli elementi survival horror o presunti tali, racchiusi entro l’insufficiente cerchia di inseguimenti semiscriptati e la relativa scarsezza di munizioni nei primi capitoli, vengono nullificati dalla presenza di frequenti checkpoint, abbondanti drop di oggetti e un sistema di upgrade.
Questi tre elementi, da soli, bastano a classificare il gioco come action horror e non come survival, ma bisogna anche ammettere che il sistema funziona e diverte.
Le fasi di shooting, dal ritmo abbastanza sostenuto, restituiscono una certa soddisfazione dovuta sia al feeling delle armi che agli effetti delle stesse sui nemici.
I mutanti, appunto, sono tutt’altro che passivi e godono di un elevato quantitativo di salute nonché di varie armi sia ranged che melee e molto spesso non andranno giù con un solo colpo alla testa, cosa che, se non si possiede una buona mira, comporterà il dispendio di più caricatori per mob.
L’arsenale a nostra disposizione lunge dall’essere folto e, purtroppo, i pezzi migliori verranno sbloccati verso la fine del gioco.
Nonostante tutto si avranno sempre diversi modi per uccidere gli zombie e, a meno che lo spreco di munizioni non sia eccessivo, il giocatore non si sentirà impotente, timoroso e quindi incline alla fuga come nei classici RE.
Certo, la varietà dei nemici lascia un po’ a desiderare ma se vi piace massacrare mutanti facendoli esplodere in mille pezzi questo è pane per i vostri denti.
Discorso differente per i boss e i miniboss, dal design discreto, lanciati con poco criterio a inizio, metà o fine capitolo per ravvivare sezioni fiacche e noiose rendendole concitate ma a volte frustranti, con meccaniche di trial and error che si ripetono impietosamente portando talora al ragequit. A onor del vero registriamo anche situazioni di grande tensione e atmosfere davvero suggestive ma i momenti morti prevalgono e ingrigiscono tristemente il tutto.
E’ inoltre presente un interessante sistema di potenziamenti (menzionato sopra) suddiviso in sezioni dedicate che permette di personalizzare a fondo armi e abilità, donando un piacevole senso di progressione nel gunplay che in parte rattoppa l’assenza di uno sviluppo psicologico del buon Castellanos.
Trattandosi di un titolo cross-gen, il comparto tecnico non è dei migliori e presenta diverse criticità dovute alla mancata ottimizzazione del già non impeccabile id Tech 5. Sulla versione PS3 abbiamo notato, tra le altre cose, un fastidiosissimo tearing che si propaga per l’intera durata della campagna, degli incredibili cali di framerate durante le situazioni più concitate, un cronico pop-in delle texture e un marcato aliasing. La qualità di luci, ombre, texture e modelli è bassissima e la telecamera, problematica di suo, si unisce alle inspiegabili bande nere che restringono l’effettivo spazio visivo per una chiarezza d’immagine a dir poco scadente. Il nostro consiglio ai publisher è di lasciar perdere le versioni old-gen e dedicare molta più cura a quelle next-gen e PC, in questo caso non esenti da gravi mancanze tecniche.
Dal lato artistico, invece, il tema della sincronizzazione cerebrale è un ottimo pretesto da cui prendere le mosse e ha aiutato parecchio la progettazione di ambienti al limite dell’onirico che forniscono un impressionante colpo d’occhio (letteralmente, nei livelli finali) e riescono a trasmettere una forte tensione anche grazie ad un comparto sonoro di prim’ordine.
E’ pur vero che alcuni scenari e situazioni rimandano chiaramente ad altri titoli (Resident Evil 4, Dead Space 2, Evil Dead, Outlast) ma in generale il tono dell’opera si salda sulla straordinaria offerta di splatter gratuito che disgusta e affascina allo stesso tempo, sebbene alle lunghe possa risultare tedioso.
Conclusioni Grandi nomi comportano grandi responsabilità e questo Mikami lo sa bene, ma non è comunque riuscito a donare a The Evil Within quel tocco che lo avrebbe reso un lavoro degno di Resident Evil, Dino Crisis, Onimusha e altre vecchie glorie da lui dirette; stavolta ha pescato a piene mani dai migliori e non ha saputo amalgamare con sapienza fino ad ottenere qualcosa di solido, di concreto. Il risultato è un’ombra di Resident Evil 4, o meglio di ciò che avrebbe dovuto essere in origine, impreziosito dalle solite ispiratissime scelte di design e da un gameplay ben strutturato ma non perfetto, che cozza con una sceneggiatura al top della vacuità e una miriade di singhiozzi tecnici che inficiano l’esperienza di gioco, per niente survival horror ma shoot and run per la gioia di nessuno in particolare. Cos’è, insomma, The Evil Within? Se dovessero chiedervelo, rispondete semplicemente “un action in terza persona con gli zombie”. |
+ Pregevole comparto artistico e sonoro + Ottimo feeling delle armi + Sprazzi di tensione |
– Sceneggiatura indecente – Zeppo di problemi tecnici – Alcune sezioni noiose e frustranti – Non proprio quello che ci saremmo aspettati da Mikami |