Dopo aver finito il mio primo giro su Inside ero assolutamente estasiato dalla straordinaria bellezza con cui un semplice videogame aveva saputo stregarmi, ma ancor di più ero sbalordito dalla potenza espressiva e dalla dirompenza con cui determinati messaggi erano stati trasmessi dagli sviluppatori di Playdead. Senza perdere tempo vado su IGN, Gamespot e simili, inizio a dare un’occhiata su Metacritic e vedo una sfilza di 10/10, meritatissimi. Poi mi metto a leggere le recensioni. E lì ho provato una profondissima tristezza.
Tutti a parlare del gioco, della direzione artistica, delle meccaniche, del gameplay, di confronti con Limbo. Nessuno che si sia voluto spingere a parlare di cosa sia realmente Inside, nel profondo. Perché qui non si parla di semplice videogame. Ciò con cui abbiamo a che fare è la mistura perfetta tra gioco, arte, psicanalisi, politica e incubo.
Inside – Recensione
Data di uscita: 07/07/2016
Versione recensita: PC
Disponibile su: PC, XB1
Lingua: Italiano
Prezzo di lancio: €19.99
Iniziamo come qualunque altro sito sulla faccia del pianeta: Inside rientra nella categoria dei puzzle game 2D a scorrimento orizzontale, mette a frutto quanto appreso con l’ottimo Limbo e ne perfeziona ogni elemento sia in termini di gameplay che visivi.
Fin dai primissimi minuti non potremo che restare ammaliati dalla grafica del gioco, che unisce una direzione artistica superba ad animazioni variegate, fluide, realistiche, in una parola credibili. E’ la più bella grafica mai vista in un videogame? No. E’ la migliore direzione artistica di sempre? Nemmeno. E non è nemmeno il puzzle game più bello a cui io abbia giocato. Dunque, se Inside non è il meglio del meglio, perché un voto perfetto? Perché Inside, signori, è l’esperienza più totalizzante che mi sia mai capitato di vivere con un videogame, in una maniera riconducibile a quanto fatto da Journey, ma con una malinconia e un pessimismo squisitamente romantici che rendono Inside un capolavoro senza tempo, un’opera colossale che resterà nella Storia.
Inside – Video recensione
La grandezza di questo prodotto si trova nel titolo stesso del gioco e nella capacità dell’osservatore di comprenderne il reale significato. Inside significa “dentro, all’interno”. La domanda da farsi è “di che cosa?”. Con la giusta chiave di lettura non sarà difficile dare una spiegazione, perché a conti fatti anche questo gioco racconta una storia, come qualsiasi altro. La differenza è che qui non c’è alcun dialogo, solo la splendida direzione artistica a suggerirci dove ci troviamo e cosa diavolo sta accadendo.
Non faremo spoiler di alcun tipo perché detestiamo farli, ma anche e soprattutto perché non avrebbe senso farli. Inside si pone a un gran numero di possibili interpretazioni, e se la trama del gioco è una e soltanto una, il significato di ciò che accade, i riferimenti sociali e la travolgente inondazione di allegorie sarà ad appannaggio solo di una fetta ristretta di giocatori, troppo ristretta a giudicare dalla stragrande maggioranza delle recensioni che ho avuto modo di leggere.
Perché tutti hanno apprezzato Journey, ma in quanti hanno compreso il significato delle fasi di volo? E allo stesso modo ben pochi hanno fatto luce sulla straordinaria complessità di Firewatch, o afferrato la delicatissima, fanciullesca, straziante crudezza di Ethan Carter. Anche i cosiddetti sperimentalisti preferiscono produzioni dai messaggi più chiari, e proprio questo è il motivo del successo commerciale dei vari Gone Home, Dear Esther, The Stanley Parable, tutti capolavori, tutti molto più diretti di un Everybody’s Gone to the Rapture.
Inside è ambientato in un futuro distopico post-apocalittico, un ibrido fra 1984 di Orwell e Matrix. Non posso spiegarvi in cosa stiano effettivamente queste similitudini, perché forzerei una visione che magari non è la vostra, ma mi auguro che avremo modo di parlarne insieme.
Inside è un gioco pieno zeppo di messaggi profondi, che forse non tutti comprenderanno
E’ tutto molto difficile, perché non posso dirvi nemmeno chi impersoneremo, chi sia il protagonista della vicenda e perché vedremo un bambino correre spaurito in un bosco, fuggendo dalla minaccia di uomini che faranno di tutto per ucciderlo. Forse è un fuggitivo, forse è il nostro avatar, forse no.
Ma sarà chiaro che quello è l’unico bambino “normale” presente nel gioco, il resto saranno adulti, saranno creature prive di volontà propria, saranno manipolatori e manipolati, saranno mostri creati dalla scienza, dal potere, dal controllo, dalla volontà di imporre sugli altri le proprie scelte. In fondo è ciò che facciamo anche noi quando giochiamo, quando pressando dei tasti indichiamo a un personaggio virtuale cosa debba fare. Siamo noi a dettare legge, siamo noi la mente che determina l’azione, siamo noi a imporre la scelta su chi non ha alcun valore. E’ solo un personaggio. Un personaggio di un gioco qualsiasi. Noi invece siamo umani, siamo superiori perché siamo noi i creatori.
Durante l’avventura nel mondo di Inside saremo costantemente colpiti dalla silenziosa sceneggiatura mentre cercheremo di comprendere cosa sia accaduto a un mondo chiaramente in rovina. Vedremo uomini che ne controllano altri ormai privi di volontà e di forma. Noteremo la totale assenza di volti, facce, espressioni, sentimenti o emozioni.
In Inside controlliamo uomini che non hanno più una volontà
In Inside il bambino sarà in grado di controllare le creature prive di volontà interagendo con alcune macchine, imponendogli a sua volta le proprie scelte. Ma siamo noi a controllare il bambino. Siamo noi a imporre le nostre scelte attraverso di lui. E’ un Inception della mente, è l’abbattimento della quarta parete in maniera subdola, cattiva nei confronti del giocatore, impietosa e disarmante nel momento in cui i più hardcore tra voi riusciranno a sbloccare il finale alternativo del gioco. Del gioco.
I puzzle con cui avremo a che fare hanno una difficoltà moderata, richiedono un minimo di riflessione ma è improbabile bloccarsi sul serio, dopo un po’ di trial and error diverrà chiaro come procedere. Considerato l’enorme numero di checkpoint la morte stessa non sarà un problema e lo stesso trial and error viene perdonato in quanto non compromette in alcun modo l’esperienza.
E poi incontreremo l’acqua, uno degli elementi più importanti di Inside, ma anche l’elemento più importante della vita. L’acqua che di solito è purificatrice, che va ad espiare le colpe come nel meraviglioso Magnolia di Paul Thomas Anderson, film datato 1999 che di certo non è tra i più celebri in cui figurino Tom Cruise, William H. Macey, Philip Baker Hall e una immensa Julianne Moore.
In Inside l’acqua ha ricoperto il passato, lo ha inondato, il freddo cemento è stato affogato e riempito di bambini che appaiono mostruosi, terribili, atterriti dalla luce.
Fu il mangaka Kentaro Miura a scrivere una volta che quanto l’oscurità riempie la tua anima fuggi via dalla possibilità di essere sfiorato dalla luce. Perché è troppo. Perché la speranza fa male. E perché il lieto fine appartiene solo alle fiabe.
Il bambino, l’innocenza, il protagonista di Inside
Il bambino di Inside è il futuro, la speranza, è l’innocenza che fugge dal presente amaro e monocromatico, con il suo maglioncino rosso che fa tanto Schindler’s List. E’ la ricerca di qualcosa di meglio, qualcosa che sia lontano dagli adulti, da ciò che la storia ha creato. E’ immersione nell’acqua, è comprenderne il valore suo e dei suoi mostri. E’ partire da chi in passato ha tentato e ha fallito divenendo agli occhi di tutti un mostro, terrificante e minaccioso solo perché incompreso o sconveniente. Rompere un oblò, rompere uno schema, affogare nell’acqua, rinascere dall’acqua stessa. Sconfitti e cancellati dalle memorie, specchio di un passato che i potenti sono riusciti ad annichilire, eppure ancora lì, pronti a fare il possibile per dimostrare che le proprie forme mostruose sono mostruose solo agli occhi di chi ha stabilito che lo siano.
E alla fine di ogni cosa ciò che conta è la capacità di credere, di lottare e di andare avanti, anche se il risultato finale può sembrare informe e indefinito, una massa di idee, corpi e pensieri, il principio stesso della ribellione, la dirompenza e la furia con cui il futuro e l’inevitabilità del cambiamento manderanno in frantumi tutte le strutture, i vetri e i muri creati da un presente che cerca di controllare ciò che non può essere controllato.
Ci sarà libertà, in un raggio di sole, il momento in cui potremo costruire il nostro futuro, da mostri o da uomini liberi, ma seguendo le nostre scelte, senza che qualcuno ci controlli o tenti di pilotarci. Nemmeno noi, giocatori.
Conclusioni Inside è un ottimo puzzle game, un gioco da 9/10 che certamente è consigliato a tutti gli appassionati del genere, ma anche a chi voglia solo una superlativa direzione artistica. Ma fondamentalmente Inside è Journey in versione romantica (in senso letterario), è cupo e malinconico, trasmette emozioni ma vuole prima di tutto parlare e raccontare di noi, del nostro presente, della sofferenza del genere umano, della maniera in cui l’innocenza viene braccata, strangolata, dilaniata da un tempo che la rifiuta e le insegna ad annullarsi.Inside verrà accettato come un ottimo gioco da moltissimi. Altri lo vivranno come un’esperienza totalizzante e per certi versi spaventosa. Invito questi ultimi ad andare alla ricerca del finale alternativo, e tutti gli altri a fare del proprio meglio per leggere tra le righe. Tante volte in Inside l’acqua inverte le regole della fisica e della forza di gravità. Le stravolge. In fondo è così anche nel nostro mondo. |
Valutazione scala 1/10 10 |
+ La vetta contenutistica più elevata raggiunta dal videogaming di sempre + Muto e terribilmente comunicativo + Potenza allegorica superiore perfino a Journey + Direzione artistica a supporto dei messaggi + Trascende il videogame offrendo anche solo un videogame e di ottima qualità |
– In troppi non lo comprenderanno appieno, come per Firewatch |
*Recensione basata su una copia promo fornita dallo sviluppatore*