Sapevamo che sarebbe successo, lo dicevamo da tempo. Non sapevamo esattamente come, ma era nell’aria. E ora è ufficiale: BioWare, uno degli studi più iconici dell’industria videoludica, è stata ridimensionata. Una nuova ondata di licenziamenti BioWare è stata confermata, e non stiamo parlando di un semplice aggiustamento, ma di un vero e proprio ridimensionamento strutturale. Electronic Arts, la casa madre, ha deciso di agire, e lo ha fatto in modo netto. Alcuni dipendenti sono stati spostati in altri team interni, altri hanno ricevuto il benservito. E le dichiarazioni ufficiali? Beh, quelle lasciano il tempo che trovano. Sono frasi di circostanza, tipiche dei reparti PR, che cercano di addolcire una pillola già amara.
La verità è che BioWare è in una spirale negativa da anni. Mass Effect Andromeda, Anthem, e ora Dragon Age The Veilguard. Tre titoli che, per motivi diversi, non hanno centrato il bersaglio. E parliamo di un’azienda che un tempo era sinonimo di eccellenza narrativa, di mondi ricchi e personaggi indimenticabili. Oggi, invece, sembra aver perso la bussola. Dragon Age The Veilguard, in particolare, è stato un colpo duro. Le aspettative di vendita sono state disattese del 50%, e quando Electronic Arts parla di 1,5 milioni di giocatori, dobbiamo fare attenzione. Non stiamo parlando di copie vendute, ma di un numero che include beta tester, refund su Steam, abbonamenti EA Play e persino chi ha ottenuto il gioco gratuitamente con l’acquisto di una scheda video Nvidia. Insomma, numeri che vanno presi con le pinze.
Gary McKay, il General Manager di BioWare, ha parlato di “ristrutturazione”. Ha detto che ora che Dragon Age The Veilguard è uscito, è il momento di sistemare l’azienda. Un team più piccolo e selezionato sta lavorando al prossimo Mass Effect, guidato da veterani della trilogia originale. Belle parole, certo, ma dietro c’è una realtà ben diversa. Licenziamenti, spostamenti interni, e una sensazione generale di incertezza. McKay ha anche parlato di “innovazione” e di “offrire la migliore esperienza ai fan”, ma queste frasi suonano vuote quando sai che dietro le quinte ci sono persone che stanno perdendo il lavoro.
E qui arriviamo al punto cruciale: i licenziamenti in casa BioWare non sono casuali. Stanno colpendo ruoli specifici, e questo è significativo. Il lead writer, il narrative editor, il senior writer… insomma, chi si occupa di sceneggiatura e narrativa. Persone che, secondo molti, hanno contribuito a rendere Dragon Age The Veilguard un prodotto mediocre. Non sto dicendo che sia giusto gioire per chi perde il lavoro, ma è innegabile che ci sia un problema di qualità. Se un gioco come Dragon Age The Veilguard, che poteva contare su un sistema di combattimento potenzialmente funzionale (anche se sbilanciato), fallisce nel raccontare una storia coinvolgente, allora c’è qualcosa che non va. E sembra che BioWare/Electronic Arts ne sia consapevole.
Ma non è solo la scrittura a essere sotto accusa. Anche ruoli come producer, associate game producer e product manager sono stati colpiti. Parliamo di persone che decidono come investire i soldi, che gestiscono il flusso di lavoro, che hanno il compito di garantire che il gioco finale sia all’altezza delle aspettative. Eppure, qualcosa è andato storto. Dragon Age The Veilguard è uscito, ma non ha conquistato il pubblico. E ora, Electronic Arts sta cercando di limitare i danni. Hanno già terminato il supporto post-lancio per il gioco, il che la dice lunga su quanto siano disposti a investire in un titolo che, evidentemente, non ha dato i frutti sperati.
C’è poi un altro aspetto da considerare: il trasferimento di alcuni dipendenti in altri studi EA. Prendiamo Chery C., la senior writer che è stata spostata a EA Motive, lo studio dietro al remake di Dead Space e al futuro gioco su Iron Man. È interessante notare come EA Motive sia focalizzata su titoli action, con meno enfasi sulla narrativa complessa. Forse è un segnale che Electronic Arts vuole ridimensionare l’approccio narrativo di BioWare, puntando su qualcosa di più immediato e commerciale.
E poi ci sono i tweet. Le persone licenziate hanno iniziato a condividere la loro situazione sui social, e i nomi che sono emersi raccontano una storia precisa. Non stiamo parlando di ruoli marginali, ma di figure chiave. Persone che hanno contribuito a definire l’identità di BioWare, e che ora si trovano fuori dall’azienda. È triste, certo, ma è anche un segnale che qualcosa sta cambiando. Forse è il momento di accettare che la BioWare che conoscevamo non esiste più. Quella che ha creato Mass Effect e Dragon Age Origins è un’altra cosa rispetto a quella di oggi.
E qui arriva il punto più doloroso: BioWare non è più BioWare. È diventata un’ombra di sé stessa, un nome che porta avanti un’eredità che non riesce più a onorare. È come Rare, che sotto Microsoft non è più la stessa Rare che ha creato Banjo-Kazooie. O come Blizzard, che oggi non è più la Blizzard di Warcraft III. È il ciclo della vita delle aziende: alcune evolvono, altre involvono. E BioWare, purtroppo, sembra appartenere alla seconda categoria.
Ma non tutto è perduto. Il fatto che ci siano ancora veterani della trilogia originale di Mass Effect al lavoro sul prossimo capitolo è un barlume di speranza. Forse, ridimensionando lo studio e concentrandosi su un team più piccolo e affiatato, BioWare potrà tornare a fare ciò che sapeva fare meglio: raccontare storie indimenticabili. Certo, ci vorrà tempo, e non sarà facile. Electronic Arts non è nota per la sua pazienza, e i licenziamenti in casa BioWare sono un chiaro segnale che la tolleranza per gli errori è finita.
C’è tristezza per chi ha perso il lavoro, per i fan che vedono uno degli studios più celebri dell’industria in difficoltà, e per l’intero panorama del gaming che perde un pezzo della sua storia. Ma è anche una necessità, perché è chiaro che qualcosa doveva cambiare. Dragon Age The Veilguard è stato un campanello d’allarme, e ora tocca a BioWare dimostrare di saper rispondere. Il futuro di Mass Effect sarà la prova del nove. Nel frattempo, possiamo solo sperare che questa “ristrutturazione” sia l’inizio di una rinascita, e non l’ultimo capitolo di una storia arrivata al suo fisiologico epilogo.
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Ma facciamo un passo indietro e chiediamoci: com’è arrivata BioWare a questo punto? Per capirlo, dobbiamo guardare al contesto più ampio dell’industria videoludica. Negli ultimi anni, il mercato è cambiato radicalmente. I giochi live service, le microtransazioni, la pressione per rilasciare titoli sempre più grandi e spettacolari hanno messo a dura prova anche gli studi più affermati. BioWare, con la sua tradizione di giochi single-player narrativamente densi, si è trovata in una posizione scomoda. Dragon Age The Veilguard è un esempio perfetto: inizialmente concepito come un gioco live service, è stato poi convertito in un action RPG più tradizionale. Questo cambio di direzione, però, non è stato sufficiente a salvare il progetto.
E poi c’è il discorso della cultura aziendale. BioWare non è più lo studio indipendente e creativo di un tempo. Dal 2007, quando è stata acquisita da Electronic Arts, ha dovuto fare i conti con le logiche di una grande corporation. EA è nota per il suo approccio aggressivo al business, e questo ha inevitabilmente influenzato il modo in cui BioWare opera. I licenziamenti in BioWare non sono un caso isolato: fanno parte di una tendenza più ampia, che vede molti studi ridimensionarsi o chiudere del tutto. È un momento difficile per l’industria, e BioWare non è immune.
Eppure, nonostante tutto, c’è ancora speranza. BioWare ha un patrimonio incredibile: mondi ricchi, personaggi iconici, storie che hanno segnato generazioni di giocatori. Se lo studio riuscirà a ritrovare la sua anima, a concentrarsi su ciò che sa fare meglio, potrebbe ancora risorgere. Ma per farlo, dovrà fare scelte coraggiose. Non basta ridimensionare il team o spostare i dipendenti: serve una visione chiara, un ritorno alle radici.