Se oggi siamo tutti un po’ più poveri (o più ricchi, dipende dalla vostra filosofia) lo dobbiamo all’industria dei videogame. Pratiche predatorie a gogò, bugie dei PR, sviluppatori ostili, censure e quant’altro hanno investito il gaming come un’onda di fanghiglia radioattiva, lasciando pochissimi sopravvissuti. E figuriamoci se stampa settoriale o enti corrotti come l’ESA abbiano la benché minima intenzione di risollevare la situazione. Anzi. C’è chi, come l’ESRB, viaggia proprio nella direzione opposta, come svelato dal sempre attivissimo Angry Joe.
ESRB sta per Entertainment Software Rating Board e si occupa, almeno in teoria, di classificare i giochi in base al loro contenuto. In teoria dovrebbe giudicarli appropriati o meno per determinate fasce di età. L’ente è stato creato nel 1994 e contiene al suo interno personaggi di spicco dell’industria. Tra questi figurano il boss di Take-Two Strauss Zelnick, il capo della divisione Xbox Phil Spencer, gli ormai ex esecutivi di Sony e Nintendo Shawn Layden e Reggie Fils-Aime e così via.
Sarà un caso, ma anche l’ESA, ovvero l’organismo che dovrebbe regolare l’intero mondo del gaming al posto dei governi contiene diversi presidenti dei publisher più importanti tra cui EA e Ubisoft. E ancor più casualmente nessuno ha mai fatto notare che tutto ciò rappresenta un enorme conflitto di interessi. Praticamente i consigli di amministrazione di chi dovrebbe vigilare sul gaming sono composti in prevalenza dai boss delle compagnie su cui vigilare. Ottimo.
Ma torniamo all’ESRB. Nei giorni scorsi lo youtuber Angry Joe ha pubblicato un video estremamente importante sulla questione rating. Grazie a lui siamo venuti a conoscenza del modus operandi dell’organizzazione. Quanto segue potrebbe farvi rizzare i peli pubici. Siete pronti? Ebbene, l’ESRB non prova i prodotti che poi va a classificare ma si limita a guardare un breve video riassuntivo del gioco mandato dal publisher o dallo sviluppatore.
In sostanza io, publisher, posso benissimo creare un gioco per adulti, inviare un video tarocco all’ESRB e ottenere un rating più basso del dovuto. Oppure posso fare come 2K e inserire un casinò dentro il mio titolo senza comunicarlo alla commissione e ottenendo dunque un bel “E for Everyone”, l’equivalente del nostro PEGI 3. Con micro, anzi macrotransazioni, roulette, slot machine e quant’altro di vietato ai minori di 18 anni.
Allo stesso modo un ipotetico sviluppatore indipendente senza conoscenze all’interno di ESA e ESRB si vede spesso costretto a tagliare o censurare contenuti del suo gioco per paura di essere penalizzato con classificazioni 18+ e simili. Perché si sa, le tette virtuali sono il male e bloccano la crescita. Di contro, il gioco d’azzardo è perfettamente adatto persino ai neonati. Chiamasi logica del clown.
Ora, il problema risiede nell’assenza di responsabilità davanti alla legge di organi come l’ESRB. Non esistono norme a protezione del consumatore. Nessuna obbliga tali enti a provare per intero un videogame e dare informazioni precise sul tipo di contenuti al suo interno. La stessa etichetta “Acquisti in app”, aggiunta di recente come specchietto per le allodole dopo le pressioni dei governi, non distingue microtransazioni da DLC. È, in poche parole, inutile.
L’assenza di qualsivoglia tipo di regolamentazione sugli acquisti in app ha fatto sì che oggi delle porcherie immorali come FIFA e NBA 2K la facciano franca e riescano a spillare miliardi a bambini e utenti inconsapevoli o afflitti da specifiche patologie. È grazie a ESA, ESRB e all’inattività di certi governi che l’80% dei tripla A occidentali abbia la struttura di una app mobile free to play, per giunta pay to win.
L’ultimo esempio lo abbiamo visto con Ghost Recon Breakpoint, il cui store in game contiene centinaia di oggetti (cosmetici e non) a dispetto del prezzo pieno e delle edizioni speciali che arrivano a costare anche 200€. Avarizia e corruzione stanno portando via la vera essenza dei videogiochi, visto che ormai lo sviluppo non ruota più intorno alle meccaniche e al divertimento ma alla costruzione di uno shop con attorno qualche elemento di gameplay basato sul grinding furioso.
E poi mi chiedono perché abbia blacklistato più di metà dei publisher esistenti acquistando solo collector’s edition di titoli giapponesi e di nicchia. Se non ci fossero quelli, signori, avrei già smesso di giocare da tempo. Tra Epic Fail Store, censure, politicamente corretto, DLC, microtransazioni e quant’altro il gaming sta perdendo la valenza di hobby e sta diventando un lungo e difficile esercizio di resistenza. E di arte, in questo schifo, ne è rimasta davvero poca.