Elden Ring è già uno dei videogame più attesi del 2022. Milioni di giocatori conoscono ormai Hidetaka Miyazaki e le sue creazioni, da Dark Souls a Bloodborne, passando per Demon Souls e il più recente Sekiro. Si fanno tante chiacchiere intorno al nuovo gioco, c’è un retaggio di altissimo livello, e l’hype monta ad ogni nuova, piccola informazione che arriva sulla rete. Uno degli elementi più interessanti di Elden Ring è la collaborazione con George Martin, che ne cura la lore e la sceneggiatura. È importante perché, proprio in termini di lore, la trilogia di Dark Souls ha lasciato a tanti un sensazione di amaro in bocca, e mettere tutto nelle mani di uno scrittore del genere può essere una mossa sensata.
Da amante della letteratura a 360 gradi ho letto tutto ciò che Martin ha pubblicato sul nostro mercato, partendo da Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (conosciuto anche come Game of Thrones o Il Trono di Spade), passando a Il Drago di Ghiaccio o a collezioni di storie brevi come Le Torri di Cenere. Non voglio parlare delle disastrose stagioni finali di Game of Thrones naturalmente, ma desidero invece soffermarmi sullo stile e la qualità di George Martin, che può a mio parere fare la differenza in un’opera come Elden Ring.
George Martin ha dimostrato negli anni di saper giocare con più fili narrativi in simultanea. Di certo non è veloce nel proprio lavoro, non è neanche lontanamente paragonabile a uno Stephen King. Ma, pur prendendosi il suo tempo, scrive bene. Con Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco ha inventato una lore ed un background convincenti, spaziando attraverso i millenni, approfondendo sulla politica, sui caratteri dei personaggi, su elementi fantastici e magici, e infine mescolando tutto insieme con una certa scioltezza. Manca la profondità o la qualità linguistica di un Tolkien, senza dubbio. Tuttavia, se da una parte Tolkien faceva largo uso della mitologia norrena, Martin si è limitato a prendere spunto da alcuni eventi storici realmente avvenuti, dando poi spazio alla fantasia per buona parte della lore. Una lore che, per forza di cose, non può reggere il confronto con il Silmarillion o con lo Hobbit, presentando una serie di buchi e lacune evidenti, ma restando comunque in buona parte farina del suo sacco.
Pur con i suoi limiti, Martin è una scelta sensata per Elden Ring. È prolisso, molto descrittivo, e perfettamente in grado di fornire dettagli visivi chiari a chi dovrà poi realizzare il suo mondo. Ce ne siamo accorti con le prime sei stagioni di Game of Thrones, e non dubitiamo che anche in Elden Ring saprà fare bene.
Questa maniera di descrivere luoghi e situazioni si sposa bene con lo stile già sperimentato da Miyazaki con Dark Souls. Qui la storia veniva infatti svelata poco per volta, senza una narrazione preponderante, ma attraverso pezzi di informazione che, piano piano, andavano a costruire un quadro complesso e in qualche modo omogeneo. A dirla tutta, Martin non rientra fra quelli che definirei “ottimi” scrittori, ma sa il fatto suo quando si parla di intreccio narrativo. Lo definirei invece un “bravo” scrittore, e mi aspetto una qualità della storia ampiamente superiore rispetto a quella dei vari Dark Souls.
La mia paura più grande, con Martin, è il suo essere incostante, insoddisfatto del proprio lavoro e continuamente impegnato a rileggere, modificare e riscrivere i testi. Elden Ring è un videogame prodotto da una major del settore, e come tale deve rispondere a scadenze che Martin non è abituato ad avere. Di solito storia e sceneggiatura sono tra i primi elementi di un videogame a venire completati. Ci domandiamo se quella di Elden Ring sia già completa, ed eventualmente da quanto tempo.
Per il momento Martin non ha mai dimostrato una grande abilità con le sue storie brevi, mentre nella sua grande saga – Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, appunto – non ha convinto in molti col finale televisivo. Sembra che abbia avuto fretta di concludere, che sia stato incapace di dare il giusto seguito a una serie di elementi inseriti nel corso degli anni, poi messi in secondo piano senza riuscire a dare una vera coerenza interna. Un trend che nel corso degli anni abbiamo visto in altre grande produzioni, come ad esempio Lost, o lo stesso Dark Souls. Produzioni che in qualche modo vengono schiacciate dal loro stesso successo, dal loro bisogno di mantenersi avvincenti durante la narrazione tenendo alta l’attenzione del fruitore.
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Da questo punto di vista, Martin potrebbe sfruttare Elden Ring per dimostrare di saper scrivere finali di alto livello. Di sicuro non incontreremo la complessità di un Game of Thrones, questo è ovvio, ma la chiusura, al termine di una storia, deve esserci, e deve riuscire a soddisfare il lettore o giocatore che sia. Le storie che rimangono più impresse, in fondo, sono proprio quelle che riescono a colpire con il finale, dando una catarsi, un senso di unità con il resto della narrazione. Miyazaki è straordinario quando si tratta di dirigere nel gameplay, nel level design e nella sistema di progressione. Come uno Shigeru Miyamoto o un Eiji Aonuma, Miyazaki è uno dei game designer più validi del panorama moderno. I bravi narratori sono però altri e, quasi sempre, un bravo narratore non ha nulla a che vedere con un bravo game designer. David Cage, Hironobu Sakaguchi, Hideo Kojima sono validi quando si tratta di raccontare una storia o tratteggiare personaggi, ma non entusiasmano nella sfera puramente ludica della produzione.
Coinvolgere George Martin con Elden Ring è una mossa sensata. Durante lo sviluppo di Death Stranding Hideo Kojima ha cercato la collaborazione di Guillermo del Toro e Nicolas Winding Refn, entrambi straordinari nelle proprie capacità registiche. Quello che sta facendo Miyazaki è molto più intelligente: sa di sapere il fatto suo in quanto a meccaniche e divertimento, quindi si concentra sul miglioramento dello story telling. E se nel frattempo ci scappa qualche milione di copie in più grazie al nome di uno scrittore famoso è tanto di guadagnato.
Come al solito cerchiamo di stare attenti all’hype, che è sempre pericoloso. Conosciamo però la storia di From Software, sappiamo che Miyazaki non ha mai sbagliato un colpo e, per il momento, non c’è motivo di pensare che le cose non andranno per il verso giusto. Incrociamo le dita.
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