Molti di voi conosceranno Riot Games per il popolare MOBA League of Legends, uno dei titoli più giocati su PC. Il grande successo ottenuto nel corso degli anni ha consentito allo studio americano di espandersi, aprire varie filiali e dominare nel campo degli eSport, guadagnandosi un podio piuttosto stabile su Twitch. Apparentemente sembra una realtà felice e prosperosa, giusto? E invece no. La casa di sviluppo nasconde infatti un mucchio di lati oscuri tra le sua mura e stanno venendo tutti fuori giusto nelle ultime settimane. Giusto per restare in tema con le controversie di questi giorni, addentriamoci nel magico mondo della discriminazione.
I casini hanno avuto inizio da un articolo dei paladini femministi di Kotaku, sempre sull’attenti quando si tratta di giustizia sociale. Un loro reportage (costruito sulla base di fonti anonime) avrebbe portato alla luce un problema di sessismo e discriminazione nei confronti delle donne nell’azienda californiana. Ovviamente usiamo il condizionale perché le fonti non sono verificabili al 100% e si tratta pur sempre di Kotaku.
Sta di fatto che però i vertici di Riot devono essersi sentiti particolarmente toccati dall’articolo, tanto da rispondere subito con un comunicato stampa in cui si scusavano promettendo di istituire iniziative e corsi aziendali incentrati su diversità e inclusione, contro il cancro della discriminazione. Va bene, ci sta. A prescindere dalla fondatezza delle accuse (perché di ‘sti tempi non si sa mai) promuovere il rispetto sul posto di lavoro è un dovere per ogni compagnia. La mossa di Riot appariva dunque sostanzialmente innocua, e anzi costruttiva.
I creatori di League of Legends si abbandonano alla discriminazione contro l’uomo bianco
Questo se non stessimo parlando della società americana odierna. Neanche il tempo di dire ebrei che il virus del politicamente corretto ha infettato anche loro. E di brutto. Dovete sapere che in occasione del PAX West di Seattle, Riot ha organizzato una serie di congressi su game design, scrittura creativa e altri temi interessanti relativi al mondo dello sviluppo di videogiochi. Ottimo, direte voi. Sì, peccato che fossero in larga parte riservati a donne e individui “non binari” (non chiedeteci cosa significhi perché non lo sappiamo). Esclusi categoricamente gli uomini eterosessuali.
Giustamente parecchi ospiti paganti del PAX si sono lamentati per l’accesso vietato senza alcuna ragione plausibile. Sembrerebbe proprio discriminazione! In molti si sono ovviamente lamentati sui canali ufficiali di Riot Games, ma senza ottenere risposte razionali. Anzi, hanno addirittura ricevuto insulti dai dipendenti dell’azienda e sono stati additati come “bambocci privilegiati che si lamentano”. Professionale, nevvero? Ricorda un po’ i tweet arrabbiati di Naughty Dog e le uscite del mitico Patrick Soderlund, pace all’anima sua.
Uno dei membri di Riot, il geniale Daniel Z. Klein, è arrivato persino a giustificare la discriminazione contro gli uomini dicendo che non ha senso parlare di sessismo nei loro confronti, dopotutto detengono il potere mondiale. Non sappiamo come mai ma questa frase ci ricorda qualcosa… Hmm, sì, pensiamo avesse a che fare con il 1933 in Germania. Ma no dai, saranno soltanto coincidenze. Il bianco cavaliere continua poi dicendo che gli uomini sono fin troppo presenti nell’industria videoludica e vantano un numero infinito di privilegi. Ergo, bisogna iniziare a escluderli per ristabilire la parità.
Tanto DOTA è più figo.
Attenzione, a parlare è un maschio caucasico il cui stipendio viene pagato dai costumi sexy per i personaggi femminili acquistati su un gioco online frequentato per il 90% da uomini adulti e ragazzini. In un’industria, lo ricordiamo, costruita dagli uomini. Non c’è niente di ipocrita né stupido nelle sue dichiarazioni. Niente di discriminatorio né offensivo da meritarsi le critiche di Polygon, Kotaku e amici. D’altronde sta solo insultando gli uomini, e gli uomini non sono mica persone.
Senza contare il fatto che in California impedire l’ingresso in eventi su basi religiose, razziste, politiche o sessuali è reato. Diversi fan inviperiti starebbero invero ricorrendo a mezzi legali contro questa chiara politica di discriminazione. Intanto circolano screenshot di conversazioni private in cui i dipendenti di Riot sbeffeggiano gli utenti giustamente incazzati chiamandoli “casi disperati” e definendoli “tossici”. Crediamo sinceramente che questa gente abbia perso il contatto con la realtà e abbia bisogno di aiuto psichiatrico.
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Nel frattempo nessuna risposta o scusa dai piani alti di Riot. Con questa intelligentissima mossa si sono giocati il rispetto e la fiducia di più di 2/3 della loro user base. Non passerà molto dal calo di giocatori e quindi di introiti, fisiologico in casi simili come abbiamo già potuto constatare di recente. Tratti male i consumatori? Aspettati un tracollo finanziario. Se credono sul serio di cavarsela adottando due pesi e due misure in ambito di discriminazione sbagliano di grosso. La consapevolezza sull’argomento dell’americano medio sta crescendo, anche grazie alle migliaia di siti e canali che ne parlano con regolarità.
Non ha senso pretendere pari diritti quando in realtà si vuole soverchiare incontrastati. Ancora: non ha senso offendersi per qualsiasi cosa e urlare al sessismo quando ci si comporta ancora peggio nei confronti degli altri. Non ha senso parlare di politica all’interno di un’industria concentrata sulla creazione di prodotti di intrattenimento. Niente di tutto ciò ha senso. E se anche Riot ha deciso di unirsi ai guerrieri sociali, per noi ha semplicemente smesso di esistere. Tanto, in fondo, abbiamo sempre preferito Dota.