I Game Awards sono una presa in giro

Chi mi conosce sa benissimo cosa pensi dei Game Awards e in generale degli eventi di premiazione per i media d’intrattenimento. Li reputo fondamentalmente inutili, fasulli e ridicoli. Sono la massima espressione di un sistema rotto e corrotto, un’autocelebrazione dei soliti noti che non porta alcun beneficio all’industria. Gli unici a guadagnarci sono organizzatori e sponsor, e questo perché si tratta di iniziative commerciali altamente lucrative con budget milionari. Per darvi un’idea, un minuto di trailer ai TGA può costare fino a 500.000 dollari. Onesti!

Di base, la scelta migliore sarebbe non dargli peso e far finta che non esistano. Ognuno sceglie i propri GOTY personali e il mondo va avanti felice e sereno. Ma più passa il tempo, e più queste cerimonie acquisiscono rilevanza mediatica arrogandosi spesso il diritto di rappresentare l’intera industria e parlare a nome dei giocatori. E la cosa mi dà molto fastidio. Specialmente perché dietro eventi come The Game Awards si celano favoritismi, ingiustizie ed enormi conflitti di interessi.

Vi siete mai chiesti chi voti? Perché di certo non siamo noi. Anzi per la precisione i voti del pubblico valgono il 10%, con il restante 90 assegnato alla cosiddetta “stampa specializzata”. Solo che poi vai a controllare meglio e ti accorgi che di specializzato c’è sto par de palle. Magazine generalisti come Inverse, LA Times, NPR, Pride e Variety, tra l’altro tutti politicamente schierati dalla parte dei “buoni”. Non che Polygon, Game Rant, IGN e The Verge siano tanto diversi, vista la qualità fetente di articoli e recensioni, ma per lo meno possiamo vagamente associarli al mondo del gaming.

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Ancor più strano è non sapere chi voti all’interno di queste redazioni. Caporedattore, newser, streamer, inserviente? Credo che in tutti gli eventi di premiazione che si rispettino i nomi dei giudici vengano resi pubblici. Così quantomeno si può verificare l’equità del processo di selezione e capire la logica dietro certe nomination o vittorie. Senza parlare del fatto che l’anonimato impedisce di sapere se i giudici abbiano rapporti stretti con determinati publisher e sviluppatori. Però no, a quanto pare i TGA sono speciali e non c’è bisogno di sapere nulla sulla giuria. Un punto a favore per la trasparenza.

Non solo, quest’anno si è addirittura deciso di nascondere le testate facenti parte della giuria. Quindi oltre a non sapere il nome del votante, non sappiamo più neanche l’azienda per cui lavora. Chiediamoci il motivo per cui un evento di tale portata voglia tenere segreta la composizione della sua giuria di “esperti”. Non penso sia difficile capirlo. Per quanto mi riguarda, a questo punto non esiste alcuna differenza tra una votazione sui social e quella dei TGA. In entrambi i casi non hai idea della provenienza dei voti. E considerando quanto sia caduto in basso il giornalismo videoludico, tenderei a fidarmi di più dell’opinione pubblica.

Tra l’altro non sappiamo neanche quali siano i criteri di selezione dei giudici. Chi decide cosa? Non si tratta di un metro uniforme basato sugli accessi mensili. Nella lista recentemente nascosta dal caro Geoff troviamo sia testate giornalistiche di rilevanza mondiale che podcast e canali YouTube con meno di 30.000 iscritti. In base a cosa vengono considerati affidabili? Anche qui la risposta è facilmente intuibile, se andiamo a controllare il curriculum di alcuni tra i membri. Ad esempio. Pride.com è un sito incentrato su attivismo politico e questioni LGBT. NPR si occupa di attualità e non ha neanche una sezione gaming. Kinda Funny è un podcast apertamente pro-woke e DEI. In che modo queste persone rappresentano i videogiocatori? La direzione editoriale di questi TGA mi sembra piuttosto chiara.

Lo stesso dicasi dei giudici con più esperienza nel settore. Parliamo di gente che toglie punti a un gioco perché non ha abbastanza “inclusione e diversità” o accusa un modello 3D di uccidere le donne. Gli stessi dei 9 e 10 a Dragon Age Viola. E la cosa non dovrebbe stupirci perché sono tutti figli dello stesso alveare. Eurogamer, IGN, Gamesindustry, PCMAG, Rock Paper Shotgun, VG247, Digital Foundry, Nintendo Life, Push Square e tanti altri fanno parte dello stesso conglomerato, Ziff Davis Media. E sapete chi è il loro azionista di maggioranza? Blackrock, naturalmente. Se non lo sapeste già, Blackrock è un colosso finanziario americano che da decenni spinge su DEI e ESG a livello mondiale. Praticamente sono i finanziatori del woke.

La verità è che i giornalisti videoludici, quantomeno all’estero, sono una cricca. Già diversi anni fa sono stati scoperti dei gruppi mail privati con cui i redattori delle principali testate preparavano attacchi coordinati ai nemici comuni e distorcevano la realtà in casi come quello del Gamergate. Oggi la situazione non è cambiata e la famosa cricca continua a manipolare l’opinione pubblica da dietro le quinte. Polygon, Vice, Ars Technica, GameDaily, Gamespot, Eurogamer e tanti altri starebbero facendo il possibile per “cancellare” dall’industria dissidenti e avversari politici. Basti pensare alle campagne d’odio organizzate contro gli sviluppatori di Five Nights at Freddy’s e Wukong, per citarne due. Oppure il lecchinaggio corale nei confronti di chiunque sostenga DEI e politicamente corretto, come accaduto di recente con EA e Ubisoft.

Per me è impossibile ritenere affidabili questi individui. Ma non lo dico per partito preso. Hanno dimostrato di non essere capaci di svolgere il ruolo di giudici. Solo l’anno scorso hanno nominato Dave the Diver nella categoria indie, pur essendo pubblicato dal colosso coreano Nexon, e Final Fantasy XVI in RPG, nonostante fosse un action. Vogliamo parlare del best narrative a God of War Ragnarok? Del best RPG a Cyberpunk 2077? Del GOTY a The Last of us 2? La situazione Hogwarts Legacy? O magari delle ben 9 nomination per Death Stranding, creato dall’amichetto del cuore di Geoff? Insomma, qui di credibile c’è ben poco.

Motivo per cui con le nomination di quest’anno hanno tentato di salvare un po’ la faccia. Hanno incluso Wukong e Stellar Blade in diverse categorie, e sono stati costretti a farlo o il pubblico li avrebbe mangiati vivi. Per mia grande sorpresa sia Like a Dragon Infinite Wealth che Metaphor ReFantazio hanno ricevuto diverse nomination e stavolta c’è davvero tanto Giappone. Non era scontato. Quello che non capisco è la logica di alcune categorie. Sugli action c’è un fritto misto senza capo né coda. Abbiamo best action con degli shooter, best action adventure con platform e puzzle, e best rpg con degli action. Poi c’è family game che non si capisce cosa sia. Games for impact è la zona inclusione e diversità, con Tales of Kenzera Zau al posto di 1000xResist. Ma lasciamo stare, diciamo pure che poteva andare peggio.

La vera boiata secondo me l’hanno fatta con DLC e riedizioni. Spiegatemi il senso di considerare giochi dei contenuti aggiuntivi o remake/remaster togliendo spazio a nuove IP o prodotti originali. Lasciando da parte le nomination incriminate, quali Shadow of the Erdtree, Final Fantasy VII Rebirth e Silent Hill 2 remake, che secondo me hanno ricevuto fin troppe nomination, questo genere di decisione non ha senso. Avrebbero semplicemente potuto creare le categorie best dlc e best remake. Non mi sembra una roba fuori dal mondo.

E come se non ci fossero abbastanza Nintendo nell’universo, il caro Geoff sta cercando di brevettare il nome The Game Awards. Questo significa che chiunque volesse organizzare uno show intitolato in modo simile, rischia di andare in tribunale. Il fatto è abbastanza curioso perché proprio a inizio anno il canale Sidescrollers ha fondato i Real Game Awards, evento indipendente finanziato dalla community dove a votare sono esclusivamente i giocatori. Il tempismo del buon Dorito Pope mi sembra un tantino sospetto. Cos’è, si sente minacciato da un canale con 100.000 iscritti? Tanto a prescindere dal nome i milioni di publisher e sponsor li intasca lo stesso.

E quindi veniamo al nocciolo della questione. A che servono i Game Awards? A markettare bene i titoli dei soliti publisher tripla A con i loro trailer pagati a peso d’oro. A far sentire rilevante la cosiddetta stampa specializzata. A darsi una pacca sulla spalla da soli. E a noi giocatori sta roba non serve a nulla. Anzi, veniamo addirittura sviliti e scavalcati da una giuria di sconosciuti e probabilmente anche incompetenti che decide per conto nostro. Possano piacere o non piacere nomination e vincitori, qui il problema è la totale mancanza di credibilità dell’evento.

L’anonimato della giuria è una debolezza cruciale, poiché mina la fiducia del pubblico nell’integrità del processo. E veniamo già da un periodo di totale rigetto verso la stampa videoludica. Se l’obiettivo dei TGA è celebrare l’eccellenza nei videogiochi e promuovere una competizione sana, maggiore trasparenza sarebbe fondamentale per rafforzare la credibilità e l’imparzialità del premio. E invece mi sa che qui l’unica cosa a uscirne rafforzata è il conto in banca del carissimo Geoff.

2 commenti

  1. La mia reazione è molto semplice: sto comprando pochissimi giochi ormai (tanto ho una lunga lista di backlog). Vadano a farsi fottere, con tanta inclusione.

  2. Tutto vero, tutto giusto. Ma sul piano “descrittivo” si è ormai già detta e ridetta ogni cosa ad nauseam, ormai chi voleva/poteva capire ha capito: il gaming moderno è una montagna di immondizia fatta di corrotti e venduti, incompetenti ignoranti, propagandisti politico-ideologici e tanti, tanti giochi di m*rda. Stessa cosa negli altri settori della “produzione culturale” e di intrattenimento occidentale. Basti guardare il teatrino pietoso degli oscar e baracconate simili. Tutti sintomi di una società allo stadio terminale.
    Ma quindi che fare? E qui è semplice, se ami il gaming (o il cinema) devi smettere di giocare ai videogiochi. O meglio, evitare come la peste qualunque cosa uscita dopo il 2015 e fare rigorosamente solo retrogaming, spendendo il meno possibile. Bisogna portare l’industria al collasso, perché per avere di nuovo qualcosa di buono si deve prima rimuovere tutto il marcio.
    Spero che porterete questo messaggio a chi vi segue, perché molti hanno capito ma non sanno concretamente che fare.

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