the last of us part 2 ii

Cancel culture nei videogame: è ora di dire basta

Inclusione, diversità, femminismo, politicamente corretto e questa cultura della cancellazione – o cancel culture – hanno davvero rotto i maroni. O meglio, la loro interpretazione da parte di un certo schieramento politico li ha resi insostenibili, stupidi, vomitevoli. Questo chiodo fisso di doverli inserire a forza all’interno di qualsiasi cosa, intrattenimento compreso, sta generando l’effetto inverso a quello sperato.
Il motivo è semplice. Non si tratta di qualcosa di organico. È una forzatura propagandistica portata avanti fino all’inverosimile per plagiare le menti deboli e portarle a sostenere la causa elettorale desiderata. Dietro non ci sono ideologie nobili come vorrebbero farci credere ma opportunismo, lobby e ipocrisia. Direi che la situazione USA sia un esempio calzante ormai da tempo sotto gli occhi di tutti.

Cancel culture e influenza USA

E da buoni schiavetti di zio Sam, anche noi ci stiamo lasciando infettare dalla cancel culture, un morbo che miete neuroni e libertà di espressione. Vedere “giornalisti” o presunti tali che portano tali discussioni sui siti di videogiochi nostrani schierandosi apertamente contro i loro stessi utenti è pietoso e raccapricciante.
Anziché informare e aiutare i consumatori in fase d’acquisto (che poi sarebbe il loro unico scopo) si mettono a farci la predica chiamandoci -isti, -fobici e cercando di spiegare come mai sia necessario avere più inclusione e diversità nel mondo del gaming. Ma che vuol dire esattamente?

All’atto pratico nulla. Finora quelle due paroline sono state tradotte in personaggi token sparsi qua e là nelle produzioni recenti. Una manciata di protagonisti femminili, gay, di colore, comprimari appartenenti a minoranze etniche e poco più. Cosa dovrebbe fregarne al giocatore medio rimane un mistero. Anche perché le persone normali non pensano 24/7 all’etnia, all’orientamento sessuale o religioso di personaggi virtuali.
Le vere “conquiste” del movimento regressista nazi-arcobaleno della cancel culture riguardano invece ben altro. Si tratta di censura e lotta alla meritocrazia, ovvero le ragioni per cui la stragrande maggioranza dei giocatori ne ha fin sopra le palle di femminismo e politicamente corretto. Grazie a gentaglia come Sarkeesian, Quinn e chiunque le segua a ruota, i personaggi femminili nei videogiochi stanno diventando sempre più mascolini e puritani, oltre che fastidiosi come emorroidi.

the last of us 2 part

I grandi publisher occidentali si sono ormai piegati alla dittatura femminista che odia bellezza e sensualità, proponendoci aborti a due zampe come Abigail di The Last of Us 2, Lifeline di Apex Legends, Jess e Soph Blazkowicz di Wolfenstein Youngblood e Eivor di Assassin’s Creed Valhalla, giusto per citarne alcuni. Ma non basta, bisogna anche rovinare design del passato tipo quelli di Kitana, Jill Valentine, Lara Croft, Tawna Bandicoot, Cortana, Tifa Lockhart e chi più ne ha più ne metta.
E in ciò si sono uniti alla causa anche alcuni studi giapponesi, in primis Square Enix e Capcom, baluardi della cancel culture e della soia orientale. Il pericolo che la follia possa estendersi anche ad Atlus, Sega, Platinum e quanti altri è dietro l’angolo. Ricordiamoci che moltissimi giochi nipponici sono stati colpiti dalla censura negli ultimi tempi, vuoi per mano di Sony, vuoi per bocca di giornalecchini o squilibrati su Twitter e forum. Gente che con i videogiochi non c’entra nulla, eppure vuole contaminarli per fare uno sgarbo al cattivissimo gamer bianco etero.

E come ben sapete non parliamo solo di censure estetiche ma di interi script riveduti e corretti in stile Santa Inquisizione per conformarsi al pensiero unico. Vietato scherzare, vietato rappresentare situazioni ritenute offensive o non adatte ai bambini, vietato essere creativi e, in sostanza, vietato divertirsi. Sembrano sciocchezze, ma andando avanti un passettino alla volta si arriva a un’atmosfera da regime dittatoriale dove a farne le spese sono tutti.
Perché ormai svincolarsi anche solo leggermente dal politicamente corretto può significare perdere il posto di lavoro. Diversi sviluppatori sono stati costretti ad abbandonare i propri team a causa di post, video o dichiarazioni scomode vecchie persino di decenni. Altri vengono epurati o costretti ad andarsene perché incompatibili con la filosofia simil-fascista vigente, ad esempio Chris Avellone, Kenichiro Takaki, Troy Leavitt e così via.

Persone talentuose sacrificate sull’altare del finto perbenismo, in favore di individui senza competenze ma progressisti al punto giusto che ne prendono poi il posto provocando danni talora irreparabili ai franchise. Bioware, 343 Industries, Naughty Dog, Riot Games: di nomi potrei farne fino a domattina. Fuori la meritocrazia, dentro le quote rosa e l’inclusione che sa tanto di esclusione. In breve, assumo in base a criteri discriminatori e me ne frego dei curriculum perché lo dice la Sarkeesian. Ottimo. Vogliamo davvero continuare su questa strada?



Il motivo per cui esistono le disparità di genere in determinati settori non ha nulla a che vedere con -ismi e -fobie. Non mi sembra che nessuno si lamenti del fatto che l’occupazione femminile in ambiti come istruzione, assistenza sociale o benessere sia superiore a quella maschile. Si tratta semplicemente di attitudini e interessi. Se sei donna e vuoi emergere nel mondo dei videogiochi armati di impegno e passione e vedrai che riuscirai a diventare qualcuno. Meritocrazia è la parola chiave. Se non hai le capacità fai altro, stop.

Il videogioco dovrebbe essere un hobby in grado di unire chiunque, a prescindere da razza, sesso, religione e ideologia politica. Trascinarvi dentro l’attivismo della cancel culture non fa che creare conflitti e divisioni. Se non siete capaci di distinguere l’intrattenimento dalla vita reale andate in un istituto di igiene mentale e lasciatemi giocare in pace. Chiedere censure e punizioni per chi non la pensa come voi genera soltanto astio e antipatia verso le cause che sostenete, per quanto potenzialmente condivisibili. E vi rende equiparabili a ciò che dite di odiare.
Vi fate del male da soli. Oggi riuscite a far ridurre le dimensioni del seno di Tifa (che vittoria sensazionale, avete sconfitto il shesshismo!), domani sempre più gente si accorgerà di quanto frivole siano le vostre battaglie. Pensate a problemi veri e trovatevi un bel lavoro. Vedrete che anche voi riuscirete ad essere qualcuno nella vita. Forse.

E a chi, come me, è stufo di questo clima folle rivolgo un invito. Smettete di finanziare chi vi getta merda addosso. Non date i click a siti schierati. Non comprate titoli censurati, insoiati o prodotti da chi non ha a cuore il gaming. Votate con il portafogli, esprimete la vostra opinione e non lasciatevi intimorire dai pazzi su social e forum. Sembrano tanti e pericolosi ma in realtà sono pochi e facili da debellare. Basta avere le palle e mostrare il medio a tutte quelle aziende che li assecondano. Solo così potremo sconfiggere il virus del politicamente corretto nel mondo dei videogiochi.



9 commenti

  1. Arrivo tardi sull’articolo ma commenterò lo stesso. Per dare un po’ di contesto ed una prospettiva diversa sulla questione, linko di seguito due pezzi molto ben scritti ed argomentati di Erik Kain di Forbes (a cui non si può ribattere, come di solito accade, che sia solo un ‘incel’ odiatore che non capisce nulla di videogiochi) che va a spiegare perché secondo lui TLOU sia un gioco mediocre con una trama adolescenziale e priva di senso, e per quali dinamiche abbia potuto essere eletto GOTY.
    https://www.forbes.com/sites/erikkain/2020/11/15/the-last-of-us-part-2-review-a-beautiful-terrible-sequel/
    https://www.forbes.com/sites/erikkain/2020/12/11/of-course-the-last-of-us-part-2-won-game-of-the-year-whether-or-not-it-deserved-it/
    Per tutta la questione politica: ovviamente Druckman e l’altra sceneggiatrice hanno imbottito l’opera della propaganda ideologica a loro più cara, e i creativi secondo me hanno il diritto di farlo; altrettanto legittimo però che una parte dell’utenza non apprezzi i loro valori e/o non voglia essere plagiata da un prodotto di intrattenimento (quasi tutti adesso, non soltanto TLOU).
    Resta più valido che mai l’imperativo, per ogni videogiocatore consapevole, di non supportare con il proprio denaro tempo ed attenzione tutti i contenuti spazzatura che questa industria marcia vomita in continuazione.

    • Conosco il buon Erik e mi trovo ancora una volta d’accordo con la sua analisi. Quello che dà più fastidio è, appunto, essere bollati come -isti e -fobici per il semplice fatto di non apprezzare l’odierna propaganda (fatta pure male) sui media d’intrattenimento. Che sia destra o sinistra importa poco: non poter esprimere la propria opinione pena censura è a dir poco disgustoso.

  2. Vabbè Miguel, questo sostiene di essersi tuffato nel mondo dei videogiochi in giovane età col GameBoy Color…… è il classico tardo-adolescente (o peggio, conformista ventenne) che sente la necessità di urlare col megafono il proprio disappunto da dissociato, come tutti gli altri cavernicoli che imperversano i meandri tossici dei social. Sai com’è, la rappresentazione femminile nei videogiochi non risponde ai suoi sogni bagnati…. più che essere capito, andrebbe compatito.

  3. E “buonista” non glielo dici? Giusto per restare in linea alle aberranti e retrograde affermazioni che vai distribuendo.

  4. Un abbecedario di banalità che mancano di centrare la situazione e il problema reale, facendo di ogni singola erba – con la propria specificità storica e culturale – un grande, immenso, nostalgico fascio (sic.). Articolo emblematico dell’immaturità e ignoranza del videogiocatore medio che non sa capire e comprendere ciò che avviene oltre il palmo del proprio naso, la realtà distorta secondo un pensiero evidentemente politico che esiste solo nella testa di chi scrive. Pessimo, davvero.

    • I classici papiri di illazioni e insulti senza poi entrare nel merito. Quale sarebbe il “problema reale”? Argomenta, non limitarti a ripetere come un pappagallo le stronzate che ti inculcano i SJW. 4 commenti da due individui differenti e neanche un’argomentazione seria o sensata.

    • Forse non hai letto l’articolo o non ne hai ben compreso il significato. Magari il problema fossero solo le tette.

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