Death-Stranding

Death Stranding – Recensione | Fantascienza straordinaria e gioco mediocre

Che piaccia o meno, Death Stranding è un gioco importante. E’ il primo lavoro di Hideo Kojima dopo la separazione da Konami, il suo primo lavoro senza le pressioni di un publisher. Il celebre game designer ha avuto la possibilità di esprimere la propria visione, godendo tra l’altro di finanziamenti considerevoli. Il gioco ha ricevuto valutazioni tendenzialmente molto positive, alcuni ne parlano in termini di capolavoro. Altri – pochi – dicono invece che sia una porcheria di una noia mortale.
Personalmente credo che Death Stranding sia, in linea di massima, un’esperienza che merita il vostro tempo. Parlo di esperienza però, e non di gioco in sé. Questo non è un videogame per tutti, ma si rivolge a fasce di pubblico molto precise. Se lo immagino come un semplice prodotto di fantascienza, allora sì, è un capolavoro. Ma, come videogame, non lo è affatto. Come al solito, dipende tutto da cosa cercate.

death strandingDeath Stranding – Recensione

Data di uscita: 08/11/2019
Versione recensita: PS4
Disponibile su: PS4
Lingua: Italiano
Prezzo di lancio: €64.99
Sponsor: in offerta su Amazon

Esistono videogame che fanno della storia l’elemento cardine dell’intera produzione. Pensiamo a qualsiasi walking simulator, pensiamo a Hellblade: Senua’s Sacrifice, pensiamo ai videogame di Telltale o di David Cage. Bene, nonostante le apparenze, Death Stranding non fa parte di questa tipologia di giochi. Hideo Kojima ha sempre dato una grandissima rilevanza alle trame delle sue produzioni, ma non ha mai trascurato il gameplay. Questo gioco non fa eccezione: storia e personaggi sono importanti, importantissimi, ma rappresentano solo un 50% dell’offerta. E’ un po’ come la differenza che esiste tra The Walking Dead e Quantum Break. Il primo è un racconto, il secondo è un racconto che vi invita a giocare. Ecco, proprio il giocare, in questo caso, è la vera incognita.

Death Stranding – Storia e personaggi

Cominciamo quindi a dare un’occhiata alla storia, evitando gli spoiler. Death Stranding ci porta in un futuro post apocalittico, la società come oggi la conosciamo noi esiste più. Entità provenienti dal regno dei morti si ritrovano arenate nel mondo dei vivi. Le due realtà si accavallano, gli spiriti reclamano il proprio spazio nel mondo, invadendolo. Gli esseri umani non possono fare altro che rintanarsi dentro città sotterranee che danno una parvenza di sicurezza. Ciascun nucleo vive isolato, le distanze diventano insormontabili, il pericolo di venire uccisi è troppo alto.

Nel mondo di Death Stranding, le comunicazioni tra le città sono possibili solo grazie a coraggiosi corrieri. Giocheremo nei panni di uno di essi, Sam Porter Bridges, interpretato da un bravissimo Norman Reedus. La storia viene narrata intervallandosi con svariate missioni di consegna, che ci chiederanno di andare da una parte all’altra degli Stati Uniti.
Hideo Kojima ha scritto una storia eccellente, toccando fantascienza, dramma, suspense, esistenzialismo, filosofia e ovviamente approfondendo sul nostro rapporto con la morte. Il tema portante sono le connessioni che esistono tra gli individui, “connessioni” nel più ampio senso del termine. Può essere l’amore di una madre per un figlio, di un uomo per una donna, può essere il senso di collaborazione che esiste tra perfetti sconosciuti, il legame che si crea tra giocatore e giocatore all’interno di un videogame. E’ un figlio che viene strappato a un padre ancor prima di nascere, il modo in cui affrontiamo la separazione, l’ossessione, la tragedia che si consuma attraverso gli anni, il tempo e lo spazio.

Hideo Kojima intreccia storie di persone diverse, ciascuna con i propri drammi interiori, ciascuna legata a quel cordone ombelicale che la connette a qualcun altro. E il legame, per quanto forte possa essere, a volte deve essere reciso. Questo è il prezzo da pagare per continuare ad andare avanti, nella vita o nella morte.
Death Stranding propone contenuti di grande spessore, attraverso una storia che ci impegnerà per non meno di 40 ore. Queste potranno raddoppiare con estrema facilità, se vorremo dedicarci all’enorme mole di contenuti proposti.

La sceneggiatura va sufficientemente bene, ma non è impeccabile. Detto in parole povere, il ritmo della narrazione è molto altalenante. Kojima si prende davvero troppo tempo prima di raccontarci cosa succede, interrompe il racconto con sezioni di gameplay troppo lunghe, che spezzano il coinvolgimento fino a infastidire. C’è tanto backtracking, tante missioni che fanno da riempitivo per allungare il brodo, tanti momenti in cui si rallenta senza motivo. Death Stranding sarebbe stato un film straordinario. Ma come videogame, non sarebbe dovuto durare più di una trentina d’ore. In una produzione del genere la ritmica della narrativa non può andare in secondo piano. Servivano più tagli, meno missioni fini a se stesse, meno backtracking, meno momenti morti.

I personaggi sono stati tratteggiati bene, con pennellate chiare, una definizione forte per l’intero cast. O quasi. Tre personaggi in particolare non mi hanno convinto al 100%. Due di loro sono stati ripresi in maniera intensiva sul finale, in maniera brillante. Hanno ricevuto uno spessore che gli ha reso giustizia, una scelta registica eccellente. Il terzo personaggio è rimasto invece un po’ troppo in ombra, ed è un peccato. C’era un potenziale decisamente notevole.
Ad aiutare nella definizione dei caratteri ci pensa la qualità della recitazione di un cast stellare, che viene accompagnato da un doppiaggio in italiano molto convincente. Qualche dubbio riguarda la voce di Guillermo del Toro, ma si tratta solo di timbrica. Se possibile consiglio comunque di lasciare il parlato in inglese, che rimane una spanna sopra i nostri doppiaggi.

Death Stranding: Meccaniche che dividono

Come dicevo in apertura, Death Stranding non è solo un racconto. Kojima ha voluto dare una grande rilievo anche alle sezioni di gameplay, che rappresentano una grossa fetta dell’offerta. E non mi hanno convinto. Ma andiamo con ordine.
Come già saprete, il gioco ci richiede di effettuare delle consegne. Immaginatelo come un simulatore di Bartolini. Prenderete dei pacchi, li caricherete nel migliore dei modi, starete attenti alla distribuzione del peso e poi partirete. Per la maggior parte del tempo si viaggia a piedi, ma sbloccheremo poco a poco anche alcuni veicoli. Di base è tutto qui.

Per rendere le cose interessanti, lo sviluppatore ha pensato che fosse il caso di “aggiungere cose”. Death Stranding introduce per almeno una ventina di ore una quantità allucinante di elementi di gioco, nel tentativo di rendersi più interessante. Ci sono i mezzi di trasporto, strade da riparare, armadietti da costruire in mezzo alla strada, tettoie sotto cui ripararsi dalla pioggia, teleferiche, piloni di ricarica wireless e tanto, tanto altro. Ciascun elemento incrementa le possibilità del giocatore, ci consente di affrontare l’ambiente in modi diversi. Potremo aggirare una montagna o utilizzare delle scale, guadare un torrente o costruire un ponte, avanzare nella neve alta o affidarci a una comoda teleferica. Il mio problema, con questa struttura di gioco, è che tutto appare inutilmente complesso.

Alla base di Death Stranding c’è infatti un sistema di movimento che ha il suo perché. Il gioco vanta una piacevole componente legata alla scoperta. Studiare la mappa, lavorare con lo zoom, creare percorsi e cercare di superare le asperità del terreno possono essere attività gradevoli, se vi piacciono i giochi di esplorazione. Il design dell’ambiente è infatti di ottima qualità, ci sono più tipi di terreno, più sentieri e percorsi. La fase della camminata in sé potrebbe essere piacevole. Ma non se diventa inutilmente macchinosa.
Death Stranding vuole che gestiamo i pesi dei pacchi trasportati sulle nostre spalle. Spesso e volentieri perderemo l’equilibrio, e dovremo pressare uno dei tasti dorsali per recuperarlo. Questo accade, di default, con una frequenza eccessiva e snervante. Come dicevo, è una meccanica, infilata lì solo per essere una meccanica in più, una cosa di cui occuparsi. Ma non è divertente, né impegnativo, né difficile, né gratificante. E’ solo una “cosa”.

death stranding
Il cast di Death Stranding, assolutamente stellare.

Discorso più o meno simile per le fasi di combattimento contro le entità sovrannaturali. Sono momenti che rallentano l’esplorazione, del tutto privi di interesse, non rappresentano una sfida reale di alcun tipo. Essenzialmente si tratta di noie che incontreremo sul nostro cammino, fasi in cui dovremo muoverci con maggiore circospezione, in una accenno di stealth. Ma, anche in questo caso, non è una cosa divertente, è solo qualcosa che si aggiunge senza avere un reale mordente. E non ha nessun senso.

Poi, ovviamente, c’è l’infinità di strutture da costruire. Concettualmente andrebbe anche bene, ma troppe volte ho avuto la sensazione che il gioco aggiungesse elementi nel tentativo di rendere le cose più interessanti. Senza riuscirci, per quanto mi riguarda.
Del resto, mi rendo conto del fatto che alcuni elementi siano stati progettati con grande lucidità. Probabilmente Death Stranding piacerà ai completisti, con il suo invito a cooperare con la community attraverso un multiplayer asincrono. Costruiremo strade e strutture insieme agli altri giocatori, lasceremo messaggi sul terreno, leggeremo quelli altrui, lasceremo e riceveremo dei like in puro stile Facebook. C’è un senso di progressione costante, ci sentiremo gratificati completando un tratto di strada, saremo spinti ad andare alla ricerca dei materiali necessari per svolgere il lavoro.

Ma fondamentalmente il gameplay di Death Stranding avrebbe potuto far felice una fetta di pubblico molto più ampia, se si fosse limitato alla sola componente esplorativa. C’è però una fastidiosa ridondanza di meccaniche che non aggiungono davvero nulla alla qualità dell’esperienza. In qualche caso vanno addirittura a snervare, rappresentando un ulteriore rallentamento del nostro progresso, come se non bastassero backtracking e missioni riempitive.

Death Stranding: Tecnica e stile

Appoggiandosi sul motore grafico di Horizon: Zero Dawn, Death Stranding riesce a sfruttare a dovere le capacità tecniche di PS4. La grafica, altamente realistica, ci offre un mondo di gioco piuttosto vasto, credibile, progettato con grande perizia. I colori tendono ad essere spenti, a sottolineare una realtà decadente, tetra. Perfino gli elementi naturali optano per tonalità fredde, la natura ricorda quella dei Paesi del nord Europa. La vegetazione consiste di muschi, macchie d’erba e poco altro. Niente alberi, niente che possa esprimere un qualche senso di vitalità o di speranza. Il mondo di Death Stranding va inevitabilmente verso la propria fine. E’ chiaro dagli ambienti naturali, ma anche dall’assenza pressoché totale di esseri viventi.

I modelli dei personaggi sono i migliori visti durante questa generazione. Siamo su livelli superiori anche rispetto a Detroit: Become Human, che aveva già lasciato tutti a bocca aperta. Le animazioni sono convincenti quasi in ogni circostanza. Solo in rarissime occasioni ci sono delle note stonate, che riguardano più che altro la muscolatura facciale, in particolare delle guance o della bocca.
Detto questo, senza ombra di dubbio Death Stranding vanta delle scene animate di qualità ineccepibile, sotto tutti i punti di vista. Le abilità registiche di Kojima sono conosciute dai tempi di Metal Gear Solid, sulla prima PlayStation. Da questo punto di vista, Death Stranding è certamente il suo lavoro più maturo. La fotografia, i movimenti della telecamera, la scelta dei tagli, sono tutti elementi che amplificano lo straordinario performance capture degli attori.

Eccezionale anche il comparto sonoro. Le musiche non accompagnano il gioco con costanza, ma sottolineano l’intensità di alcuni momenti. In Death Stranding ci sono un gran numero di pezzi cantati, che ascolteremo in particolare durante le nostre esplorazioni. Da una parte coprono alcuni dei tempi morti, donano un senso di introspezione e di intimità, una reale connessione con il personaggio che stiamo controllando. Dall’altra parte, la scelta non è sempre perfetta. Capita a volte che i pezzi vengano interrotti bruscamente, magari dall’inizio di una scenetta animata, magari dalla presenza delle fastidiose creature di cui vi parlavamo. E’ una sensazione spiacevole, che rende ancora più evidente l’inutilità di certi elementi di gioco.

Perfetti invece gli elementi sonori, realizzati con indiscutibile perizia. In Death Stranding si cammina, e si cammina tanto. Il rumore dei nostri passi è vario, ricco di dettagli, ci racconta cosa stiamo calpestando. Utilizzando delle cuffie da gaming di qualità si apprezza lo splendido lavoro svolto dai rumoristi. Sentiremo il peso del nostro carico, il suo contenuto, lo sforzo di Sam nell’arrampicarsi per un pendio. La pioggia, i tuoni, il suono di un ruscello, sono tutti splendidamente realistici, pieni, avvolgono il giocatore e lo catapultano dentro un mondo decadente, che sembra di poter toccare con mano.

CONSIGLIATO


Volendo tirare le somme, Death Stranding non è assolutamente un gioco per tutti. Anche se foste fan dei precedenti lavori di Kojima, non è detto che questo gioco vi piacerà. Cerchiamo di capire allora a chi si rivolge, e chi può effettivamente apprezzarlo.
Se vi piace la fantascienza, senza dubbio ne amerete la storia. I completisti potrebbero apprezzare il senso di progressione pressoché costante. Detto questo, il gameplay di Death Stranding rimane una grandissima incognita. E’ condito da meccaniche del tutto inutili, che rendono l’esperienza più complessa di quanto non dovrebbe. Offre una componente esplorativa piacevole, un design eccellente, un grande senso di coinvolgimento e immersione. D’altra parte, rovina tutto con tempi morti imperdonabili, combattimenti che sono delle semplici scocciature, un backtracking furioso, riempitivi sbattuti lì giusto per incrementare la longevità.

Il mio consiglio è di provare le meccaniche di base. Se vi piacciono bene, altrimenti procedete con le sole missioni principali, ignorando tutto il resto. In questo modo potrete apprezzare la bellissima storia scritta da Kojima e soci. Se poi il gameplay non fosse proprio nelle vostre corde, l’opzione YouTube resta sempre validissima.

Pregi Difetti
  • La storia è splendida, un must per gli amanti della fantascienza;
  • Personaggi eccellenti, caratterizzati molto bene;
  • Visivamente notevolissimo;
  • Colonna ed effetti sonori di altissima qualità;
  • Tanti contenuti.
  • Gameplay fallace, pieno di idee fini a se stesse;
  • Ritmica della narrazione imperfetta.

 

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