Ricordi d’infanzia, echi di spensieratezza, esperienze legate da una leggera nostalgia di pad grigi, enormi, ormai purtroppo polverosi. L’amore per il retrogaming, diciamocelo, non smetterà mai di vivere in noi ultraventenni [e ultratrentenni ;-; *ND Naares] cresciuti a pane e videogiochi d’epoca. Volendo rinfrescarci la memoria, omaggiare le vecchie glorie e al contempo illustrarle ai più giovani, abbiamo ideato Perle del Passato. Questa nuova rubrica ci accompagnerà settimanalmente e al suo interno verranno discussi i titoli che secondo noi rientrano nella storia dei videogiochi, dall’era Famicom/NES a quella PS2. Non saranno vere e proprie recensioni. Si tratterà di brevi retrospettive con cui cercheremo di raccontare cosa rappresentino ancora certi titoli datati nel panorama videoludico attuale. Se doveste avere dei suggerimenti riguardo ai classici da esaminare, fatecelo pure sapere nei commenti.
Detto ciò, senza perderci in ulteriori chiacchiere, passiamo subito alla perla di quest’oggi: Metal Gear.
Con l’uscita del primo Metal Gear su MSX2 (1987 in Giappone) fioriva una nuova era per il videogame. L’allora quasi debuttante Hideo Kojima iniziava a dimostrare il suo valore ai sempre ostili vertici di Konami che gli avevano già bocciato un primo progetto, dicasi Lost Warld, poiché ritenuto eccessivamente complesso per l’hardware di MSX, e il genere stealth muoveva i suoi primi passi all’interno della mitica base di Outer Heaven. In secondo luogo si affacciavano sulla scena dei personaggi, Solid Snake, Big Boss e gli altri, divenuti in breve simboli di culto per milioni di giocatori in tutto il mondo. Ma i motivi per cui consideriamo storica l’importanza di Metal Gear non finiscono qui.
Ciò a cui Kojima ha dato vita non è soltanto una delle serie videoludiche più famose e rispettate di tutti i tempi ma un modo particolare di vedere il medium, di intenderlo ed interpretarlo facendolo uscire dai sacri canoni del game design professionistico di quegli anni, oltre ad ispirarsi chiaramente al lavoro del gigante di Nintendo Shigeru Miyamoto.
La storia del primo Metal Gear segue da vicino Solid Snake nella pericolosissima missione che lo vede infiltrarsi in una base militare segreta al fine di smantellare un’arma atomica bipede capace di colpire gli obiettivi da qualsiasi posizione, appunto il Metal Gear. A detta di Konami, questo titolo doveva inizialmente essere un comune action sulla falsariga di Green Beret. Anziché rinunciare ai propri ideali, però, Kojima decise di andare controcorrente creando uno shooter tattico con dentro svariati elementi stealth.
A renderlo unico, oltre allo stile grafico dal forte rimando hollywoodiano, era la sua struttura. Si passava rapidamente dalle fasi concitate alle trepidanti attese dietro muri e nascondigli al fine di evitare di incrociare i soldati nemici e guadagnare un bel culo a strisce simmetriche. Metal Gear, infatti, non aveva e non ha paura di essere brutale. Nelle prime fasi Snake è disarmato, vulnerabile, in poche parole una preda facile. Sta all’utente mettersi d’ingegno per scovare rifornimenti, armi e quant’altro possa aiutarlo a superare indenne i numerosi checkpoint nella base.
Era già possibile apprezzare un level design di ampio respiro e parecchi segreti che donavano profondità e personalità all’esperienza. Tra questi ultimi possiamo senz’altro annoverare gli oggetti speciali come carte magnetiche da raccogliere ed equipaggiare per sbloccare le porte chiuse o silenziatori da applicare alle bocche da fuoco con lo scopo di uccidere passando inosservati.
In ogni caso a rimanere maggiormente impresse erano le boss fight, in particolare quella finale. La sua epicità, vista anche in retrospettiva, raggiunge picchi notevoli. Non solo il combattimento ma anche i colpi di scena che lo circondavano hanno reso Metal Gear terreno fertile per i vari sequel e prequel sviluppati in seguito, tra cui il recente quinto capitolo The Phantom Pain che vi è stato ricollegato con un filo diretto grazie a uno dei tanti stratagemmi narrativi geniali del buon Kojima.
I momenti degni di nota sono parecchi. Come dimenticare i dialoghi tra Snake e i prigionieri, le comunicazioni radio, gli scambi di battute con Big Boss? Di certo sarebbe opportuno recuperare una versione MSX2, date le gravi mancanze della corrispettiva NES. In essa è stato tagliato parte dello script e il level design ha subito pesanti modifiche. Inoltre sono presenti vari errori di traduzione sotto forma di engrish, ad esempio il famoso “I feel asleep”.
Invariato invece l’ottimo comparto audiovisivo, con le sue tipiche tinte grigio-verdi, gli sprite ben dettagliati e le musiche memorabili.
Giocarlo nel 2017, dunque, ha i suoi perché. Siano essi i risvolti di intrecci da mindfuck, gli sfondamenti della quarta parete a cui la serie ci ha abituati, l’incredibile espressività citazionistica dell’autore oppure la relativa complessità di un gameplay a tutti gli effetti pioniere nel genere. Metal Gear rimane saldo nell’olimpo delle vecchie glorie intramontabili. Se non lo avete mai provato non perdete altro tempo. Emulatelo, acquistate la HD Collection su PS3, recuperate Subsistence, non importa. Pur con 30 anni sulle spalle, la prima opera di Kojima continua ad intrattenere nel migliore dei modi.