Cosa si intende per cultura delle patch o degli aggiornamenti che dir si voglia? Si tratta in sostanza di un fenomeno ormai piuttosto diffuso nei media in generale e non soltanto nel mondo videoludico. Il termine descrive la sovrabbondanza di correzioni apportate a film, serie televisive, videogiochi, fumetti e persino libri dopo il lancio, a campagna di marketing conclusa e spesso in modo relativamente silenzioso. Vi dicono niente i nomi Westworld, Evangelion, Batman vs Superman, tra gli altri? Queste opere hanno subito modifiche, peraltro sostanziali, alla loro impostazione di base grazie a svariate revisioni successive al rilascio.
A prima vista tutto ciò potrebbe sembrare innocuo, tuttavia l’inghippo c’è. Facciamo un esempio abbastanza semplice. Immaginate di andare al cinema, spendere quasi 10€ e guardare un film che alla fine vi delude parecchio. Figuratevi altresì di scoprire tempo dopo che gran parte delle lacune riscontrate nel suddetto film siano state corrette/rivedute in un’edizione speciale venduta chiaramente a prezzo pieno, il cosiddetto DLC cinematografico. Ora, per fortuna questa prassi non ha ancora preso piede nell’industria dei videogiochi, in realtà però nell’ultimo periodo sta succedendo qualcosa di molto simile con alcuni titoli Tripla A i quali al day one presentavano vistose mancanze non solo contenutistiche ma addirittura strutturali.
Il più recente è senza dubbio Final Fantasy XV, con i suoi sporadici vuoti narrativi da attenuare guardando film e OAV. Square Enix ha annunciato di voler colmare i restanti buchi attraverso corposi aggiornamenti in arrivo nelle prossime settimane insieme alla prima parte del notevole Season Pass che molti aveva fatto discutere a causa dell’esclusione dallo stesso di una manciata di DLC.
Il problema, dunque, appare evidente. Se siamo arrivati al punto in cui un gioco del genere (peraltro in sviluppo da 10 travagliatissimi anni) necessita di patch per rattoppare una trama incompleta, fin dove ci si potrà spingere di questo passo? Chiaro che ciò non comprometta la qualità complessiva del titolo, lo abbiamo già spiegato in fase di review.
Però diciamolo chiaramente: al lancio sarebbe corretto presentare prodotti completi e non dover fare attendere le solite patch correttive.
Un’altra esperienza simile riguarda Street Fighter V, uscito a febbraio senza feature essenziali come le modalità arcade e vs CPU. Non ci si lamenta della mancanza di contenuti poco rilevanti o bugfix, qui si parla di interi pezzi del gioco.
E verosimilmente aumenta il trend di fornire al consumatore solo una base da riempire col tempo, poco importa se gli update avranno un impatto decisivo sui titoli in questione. C’è chi inserisce armi, chi mappe, chi addirittura livelli di difficoltà. La peggio, come sempre, ce l’ha il consumatore che decide di acquistare al day one.
Come non parlare, poi, di chi aggiunge furtivamente le microtransazioni tramite aggiornamenti post-lancio? E’ il caso di Battleborn, The Division, Deus Ex, Battlefield 1 e tantissimi altri. Alla lunga lista partecipa persino Call of Duty Modern Warfare Remastered con i suoi lanci di rifornimenti a peso di valuta reale inseriti nell’ultimo aggiornamento di dicembre insieme a sei mappe e due modalità di gioco.
Siamo d’accordo, si tratta di oggetti di poco conto poiché puramente cosmetici. Si può comunque parlare di comportamento anti-consumatore? Senza dubbio, d’altronde Modern Warfare ha ben 9 anni e non è neanche acquistabile singolarmente. In breve sono microtransazioni all’interno di un prodotto a sua volta contenuto dentro un secondo prodotto con relative microtransazioni. A livello morale la mossa fa acqua da tutte le parti, a livello economico l’esatto opposto.
Potrebbero inserirle già al day one, no? Quale sarebbe la complicazione? Forse evitare ricezioni negative da parte di stampa e utenti, consci della bassezza di certe operazioni commerciali. Purtroppo dovremo aspettarci sempre di peggio in tal senso, giacché il pubblico continua imperterrito a non votare o a votare male con il proprio portafogli, specialmente quando si tratta di titoli mainstream dall’ampia portata.
Riassumendo, possiamo affermare che il fenomeno “patch culture” possiede diverse sfaccettature. Difficile dire come si evolverà, tuttavia i due aspetti analizzati oggi suonano un rumoroso campanello d’allarme.
Quello riguardante le modifiche apportabili alla struttura dei giochi, come nel caso di Final Fantasy XV, avrebbe anche la possibilità di non degenerare nella totale disattenzione verso la finitezza dei prodotti al lancio prospettando invece un miglioramento costante degli stessi nei mesi successivi all’uscita. Bisognerebbe solo fornire basi solide, complete, degne del prezzo pieno fino all’ultimo centesimo e non è così difficile.
Per quanto riguarda l’altro aspetto, beh, serve sicuramente maggiore onestà da parte dei publisher. Cambiare modello economico in corso d’opera e passarla liscia con due righe di critiche dalla stampa sembra fin troppo comodo. Noi ci schiereremo ogni volta dalla parte del giocatore, poco ma sicuro. Gli utenti, dal canto loro, hanno il dovere di tenere gli occhi aperti e non cadere in certe trappole.
Se decidete di dare fiducia a qualsivoglia publisher, accertatevi di farlo da informati. E diffidate di tutto ciò che si basa unicamente sul marketing.