Beneficiando dell’invito alla closed beta, siamo finalmente riusciti a saggiare a dovere le potenzialità del nuovo Gwent.
Il gioco di carte appartenente all’universo di The Witcher, come ben saprete, è stato rimodellato da CD Projekt affinché potesse diventare a tutti gli effetti uno standalone, forte comunque del già enorme apprezzamento ricevuto in passato dai fan del buon Geralt.
Nonostante si sia scelto di mantenerne pressoché invariata la struttura di base, le novità sono moltissime e secondo noi viaggiano in perfetta sintonia con lo spirito del gioco.
Vediamo nel dettaglio quali innovazioni gli sviluppatori abbiano deciso di introdurre per espandere Gwent.
Come dicevamo, le meccaniche sono rimaste grosso modo identiche rispetto al minigioco presente in Wild Hunt.
Ogni giocatore ha a disposizione vari deck da 25-40 carte con cui sfidare un avversario alla meglio di 3 round.
I mazzi sono suddivisi in fazioni: abbiamo Regni Settentrionali, Mostri, Scoia’tel, Skellige e Nilfgaard, quest’ultima non ancora presente in game.
Se si eccettuano quelle speciali, tutte le carte possiedono un valore numerico che ne rappresenta la forza.
Il campo di battaglia è un tavolo di legno nelle cui due metà ognuno posiziona le proprie, una per turno.
La vittoria si raggiunge abbastanza semplicemente quando la somma dei valori delle carte posizionate su uno schieramento supera l’altra.
Fin qui niente di nuovo per chi conosceva già Gwent.
Ma giocando una partita ci si accorge subito di quanto il ritmo di gioco sia cambiato, per fortuna in meglio.
Uno dei limiti del Gwent era la rapidità disarmante con cui finiva la maggioranza dei match, insieme alla scarsa interazione tra mano e mazzo che lasciava pochissimo spazio alle strategie.
Il motivo? Si pescava una sola volta, escludendo i poteri speciali (fin troppo efficaci) di una manciata di carte rare.
Qui, invece, le pescate non sono più un tabù. Infatti si ricevono inizialmente dieci carte con la possibilità di sostituirne tre, due si pescano nel secondo round e una nel terzo, senza contare che adesso innumerevoli carte offrono pescaggi extra.
Non solo, gli effetti di diverse unità permettono ora interazioni continue non solo con il deck ma anche con mano, campo e cimitero, con peraltro timer di attivazioni basati su azioni di vario tipo (evocazione, morte, condizioni climatiche, ecc.) che si ispirano ai concorrenti del genere quali Hearthstone e Magic.
Da ciò deriva un’accentuazione piuttosto acuta dell’aspetto pokeristico di Gwent.
Le partite non si vincono soltanto con la forza bruta: bluff e giochetti mentali rivestono difatti un ruolo chiave nell’esperienza.
Avere più carte in mano e saperle gestire oculatamente significa trovarsi a metà strada verso la vittoria.
Allo stesso modo bisogna percepire le intenzioni dell’avversario e all’occorrenza passare il turno concedendo un round una volta ottenuto il vantaggio numerico.
In tal senso cade a fagiolo l’espansione delle meccaniche dei comandanti, qui in grado di fornire due bonus a partita.
Che si tratti di pescaggio, scelta dell’ordine di inizio, aumento della forza di certe unità o evocazioni speciali, le peculiarità di ogni schieramento assumono un’importanza vitale nelle sorti dei match.
Ad una prima occhiata, dunque, possiamo affermare con certezza che Gwent sembra essersi evoluto nel modo giusto.
Mancano ancora centinaia di carte e decine di comandanti al nostro appello, tuttavia l’impressione attuale ci lascia ben sperare nella riuscita del progetto, in arrivo (si suppone) nel corso del prossimo anno su PC, PS4 e Xbox One.
Stando a CD Projekt il supporto sarà assiduo, ed infatti sono già state promesse nuove modalità tra cui una campagna.
Noi ci fidiamo e, viste le premesse, confidiamo nel fatto che Gwent possa diventare la nuova rivelazione in ambito CCG.
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