Nei giorni scorsi sia i server di Blizzard che quelli di EA sono stati oggetto di attacchi DDoS ad opera di hacker più o meno conosciuti all’interno della community videoludica, Lizard Squad e Poodlecorp.
Questi due gruppi formati da elementi in parte noti alle autorità hanno da tempo iniziato a prendere di mira i colossi dell’industria del gaming, nello specifico i loro servizi online e i client, causando parecchi disagi ai giocatori di tutto il mondo.
Ma cosa spinge tali individui ad agire così? Quali sono le loro motivazioni e le conseguenze di ciò che scatenano?
Con il dente avvelenato, dal momento che il nostro sito è stato recentemente bersaglio di tentativi di hackeraggio, proveremo ad analizzare il suddetto fenomeno.
Giusto per fare un po’ di chiarezza, spieghiamo prima i termini tecnici.
Gli hacker si dividono in: tradizionali, i quali agirebbero spinti dal gusto della sfida per dimostrare a sé e agli altri la perizia in campo informatico; distruttivi vandalici, mossi dall’aggressività accumulata contro il sistema; distruttivi professionisti, che agiscono distruttivamente ma spinti da una logica lucrativa; spie, che opererebbero dei veri e propri furti di informazioni su commissione; antagonisti, che agirebbero spinti da motivazioni di tipo ideologico contro i tecnocrati capitalisti che tendono alla strumentalizzazione commerciale o politica delle informazioni; terroristi, che apparterrebbero a gruppi volti alla destabilizzazione sociale e istituzionale.
Sebbene Lizard Squad e Poodlecorp abbiano elementi in comune con quasi ogni tipologia, almeno sulla carta, la maggior parte degli esperti non li considera neanche dei veri hacker, né a livello morale né tecnico.
Questo perché innanzitutto il DDoS non è un metodo d’offesa particolarmente difficile da utilizzare (ormai determinate piattaforme li effettuano persino su commissione), nonostante possa rivelarsi piuttosto problematico per le vittime, ed in secondo luogo basta ascoltare le dichiarazioni dei membri di Lizard Squad in diverse interviste sul web per comprenderne appieno la spiccata vuotezza.
A quanto pare vorrebbero sottolineare l’incompetenza dello staff di Sony, Microsoft ed altre aziende affini, del tutto impotenti di fronte a questi attacchi, facendo capire ai gamer che i loro dati personali non sono affatto al sicuro. Utile in apparenza, no?
Tuttavia in realtà -e lo hanno addirittura ammesso- si tratta di una richiesta implicita di assunzione con la vana promessa di riuscire a fornire ai colossi una protezione sufficiente da ulteriori attacchi di questo genere, tentativo secondo noi alquanto disperato e triste.
Triste come l’accordo stipulato con Kim Dotcom, il quale è riuscito a placare una serie di DDoS rivolti a PlayStation Network e Xbox Live con appena la donazione a vita di account premium sul sito Mega ai membri di Lizard Squad.
Non ci troviamo dunque di fronte ai valenti Anonymous né ad un’aspirante fsociety (guardate Mr. Robot se non l’avete ancora fatto) ma ad una manciata di ragazzini maleducati con manie di onnipotenza e bisogno costante di attenzioni, nonché di soldi.
Il motivo per cui i publisher non sono tutt’ora riusciti a prevenire adeguatamente la minaccia risiede nella stessa natura del DDoS, e qui torniamo ai termini tecnici.
In sostanza il Distributed Denial of Service consiste in un sovraccarico del bersaglio attraverso moli di traffico fasullo provenienti da computer infetti, anche inconsapevoli.
Tali computer vengono definiti zombie e la loro distribuzione globale rende estremamente difficoltoso individuare l’ubicazione dell’effettivo autore, allo stesso modo di com’è pressoché improbabile per il server riconoscere il traffico fasullo a causa della distribuzione apparentemente randomica dei sistemi infetti.
Ad oggi non esistono modi sicuri al 100% per prevenire un attacco DDoS, soltanto misure di precauzione come strumenti di rilevamento e blocco di exploit insieme ai tool di monitoraggio dei flussi di traffico, ecco spiegata la difficoltà delle grandi compagnie videoludiche nel porre fine allo spiacevole fenomeno.
Una moda malata purtroppo in crescita vista la facilità con cui persino un minorenne riuscirebbe a mandare in crisi un sito web con pochi sforzi, testimone il povero Jim Sterling che ha visto andare offline il suo thejimquisition.com per svariate ore in seguito all’uscita della review di No Man’s Sky, a cui aveva affibbiato un bel 5.
Sembra ormai che gli attacchi informatici siano diventati un passatempo, qualcosa da tirar fuori in modo da arrecare fastidio anziché convogliare messaggi dettati da un’ideologia.
LuLSec, Anonymous e il resto degli Hacktivist vanno senza dubbio separati dai dilettanti di Lizard Squad e Poodlecorp.
Mentre i primi lottano per i diritti del consumatore in un mondo sempre più corrotto dal neoliberismo capitalista e dagli scandali di potere, i secondi provocano un aumento dei costi di sicurezza nelle compagnie con effetti anche gravosi per noi consumatori e la beffa di non poter usufruire dei servizi per cui paghiamo.
Cari DDoSatori -e sì, ci riferiamo anche a te, dilettante allo sbaraglio a cui forse brucia il culo per l’onestà dei nostri articoli a tal punto da tentare di hackerarci-, non pensate sia meglio smettere di emulare nel modo sbagliato gli eroi di film e serie TV e dedicarvi a qualcosa di veramente utile alla società prendendo esempio dai veri hacker attivisti?
Infastidire le persone comuni è uno spreco di tempo ed energie, senza considerare il rischio di essere beccati e sbattuti in galera per qualche annetto, a seconda della gravità del reato.
Se volete essere famosi pur non possedendo alcuna qualità vi basta aprire un canale YouTube, altrimenti cercatevi un lavoro onesto e smettete di importunare chi svolge il proprio con serietà o cerca semplicemente di rilassarsi nel tempo libero.
Ah, e già che ci siete andate pure a fare in culo nell’unico senso che conoscete, ovvero quello figurato.