C’è una domanda che continuiamo a porci osservando il crescente spopolare del fenomeno videoludico di massa sul web anche fra le generazioni più giovani e il pubblico femminile: qual è il motivo di tale popolarità e quali sono i suoi effetti sulla biosfera del gaming?
Facendoci un giro veloce su Youtube non possiamo fare a meno di notare che la maggior parte dei canali più seguiti conta milioni di iscritti, numeri talmente alti da essere praticamente inimmaginabili fino a qualche anno fa.
L’epicentro del successo va riscontrato negli ormai celebri let’s play, tipologia di video attualmente inflazionatissima poiché di facile realizzazione e d’immediato impatto su qualunque tipo di target.
Tuttavia il fenomeno è recentemente degenerato trasformando le community videoludiche in veri pollai e noi cercheremo adesso di analizzarlo cercando al contempo di rispondere alle domande poste poc’anzi.
Partiamo dal fatto più evidente, ovvero l’età piuttosto bassa degli iscritti ai suddetti canali.
Specialmente nella nostra parte di mondo, i bambini vengono precocemente a contatto con le nuove tecnologie in modo brutale, pericoloso, incontrollato.
La mancanza di responsabilità o di tempo da dedicare ai propri figli (che spesso sfocia in tragedie e rende il gioco un capro espiatorio) porta i genitori ad assumere un atteggiamento passivo nei confronti di ciò che il bambino guarda e scrive su internet; ciò, in parte, spiega il proliferare di minorenni sul web, alla ricerca di video dedicati ai vari FIFA, Call of Duty, Minecraft, in generale al titolo mainstream del momento.
I creatori di contenuti, dal canto loro, fanno il possibile per incentivare le visualizzazioni da parte dei più giovani, abbassando volutamente il livello dei propri video, creando spesso flame con chiunque osi criticarli e promulgando il clickbait (alcuni si definiscono addirittura artisti e inneggiano alla censura minacciando denunce ad ogni dove).
Potrà sembrare innocuo ad un primo sguardo ma in realtà si tratta di un trend distruttivo per le community videoludiche, avvelenate oggi come mai in passato dalla console war, dalla tossicità espressa in ogni commento, dall’ignoranza di certi soggetti cresciuti a pane e youtuber.
Lungi da noi generalizzare, d’altronde non nascondiamo di seguire ed apprezzare parecchio delle figure rilevanti nell’ambito del panorama “youtubbiano” internazionale come Totalbiscuit, Angry Joe e Jim Sterling, portatori imparziali di informazione, critica costruttiva e soprattutto professionalità; tuttavia si deve ammettere che scovare un canale davvero meritevole, tra la massa informe di cloni di Pewdiepie, è un po’ troppo difficoltoso.
Esistono spazi virtuali dedicati a qualsiasi genere di gioco in circolazione, milioni di sconosciuti pronti a piazzarsi davanti a una telecamera e mettersi a nudo (letteralmente, nel caso delle streamer) per stabilire un contatto con lo spettatore, in cerca di intrattenimento e autenticità.
Purtroppo, però, siamo rapidamente giunti al punto in cui della trasparenza rimane soltanto un valore nominale e lo testimonia l’interminabile serie di scandali che hanno coinvolto youtuber scorretti ed anzi fraudolenti verso il loro pubblico in nome dell’adorato dio denaro.
Così informarsi su un determinato titolo in quel di Youtube significa rischiare di imbattersi in video sponsorizzati dagli stessi publisher spacciati per recensioni obiettive dal gamer di turno, da pubblicità occulte e da qualsiasi altro tipo di comportamenti fuorvianti dettati dalla volontà di lucrare senza curarsi dell’etica.
In ogni caso quando non manca quest’ultima manca la competenza.
Ormai per essere considerati critici ed esperti, ovvero personalità pubbliche di rilievo la cui opinione può influenzare un numero enorme di persone, basta aprire un canale e raggiungere qualche migliaio di iscritti a furia di self-promotion, autocompiacimento ed egocentrismo.
Il “culto del dilettante” di cui parla Andrew Keen è nella sua fase di maggior splendore.
Video dai contenuti scadenti prodotti dai ragazzi della porta accanto registrano share da capogiro, invogliando sempre più utenti a seguire la medesima strada e i publisher a dargli rilievo mettendoli in alcuni casi al di sopra della stampa specialistica.
Ma per quanto rilevanti possano essere, bisogna ricordarsi che in fin dei conti si tratta di dilettanti, gente comune senza capacità degne di nota. Non sempre, è chiaro, ma spesso.
Lo spopolare dei canali di gaming su Youtube e di video pervasi d’arrogante ignoranza sta pian piano uccidendo la cultura videoludica delle generazioni successive alla nostra, pregiudicando con esso l’andamento dell’industria.
I gusti del giocatore andrebbero educati, indirizzati ai prodotti di livello, ad una migliore sensibilità in grado di far nascere dibattiti e discussioni seriamente utili, non appiattiti e fuorviati ad appannaggio del guadagno facile.
Forse è ora di rendersene conto.