In questo articolo vogliamo approfondire su una serie di problematiche legate alle traduzioni dei giochi giapponesi. Prendiamo spunto da un episodio che proprio in questi giorni ha coinvolto The World Ends with You Final Remix, e di cui parleremo in un articolo successivo.
Nel corso degli anni le cose non sono migliorate più di tanto, ed è il caso quindi di riconoscere il proverbiale elefante nella stanza.
Chiariamo un punto: qui si parla prima di tutto delle localizzazioni americane e non nello specifico di quelle italiane. Bisogna infatti tenere a mente che la maggior parte delle traduzioni europee di giochi giapponesi deriva dalla versione inglese e non da quella originale giapponese.
La questione è molto semplice eppure piuttosto complessa. Selezionando tale lingua nei giochi, a chi possiede un minimo di conoscenza del giapponese, appare evidente come non sempre ciò che si ascolta corrisponda a ciò che si legge. Traduzioni falsate o testi del tutto inventati sono estremamente dannosi, in particolare con i JRPG. I giochi di ruolo nipponici fanno infatti della trama uno dei loro punti cardine, dunque modifiche ai testi possono avere ripercussioni estremamente negative nell’economia del lore.
Non ci riferiamo ovviamente alle espressioni intraducibili ed incompatibili con la cultura occidentale. Il problema, molto più grave, riguarda invece intere linee di conversazione modificate arbitrariamente e senza che se ne senta il bisogno.
Xenoblade Chronicles è di certo uno dei più bei giochi giapponesi apparsi su Nintendo Wii
Per l’occasione abbiamo rispolverato le perle presenti in Xenoblade Chronicles per Nintendo Wii. E’ un gioco di ruolo giapponese assolutamente splendido ma localizzato in modo discutibile. Giusto per fare qualche esempio, capita che un semplice ‘giusto’ (in giapponese) venga tradotto con ‘Riki coraggioso’, un ‘cosa succede?’ diventi in ‘non sono confuso… solo sorpreso’, un banale ma diffidente ‘Shulk?’ venga tradotto in ‘Shulk, piacere di fare la tua conoscenza’. Ci sono poi le forme cortesi, che in giapponese si usano nelle conversazioni formali. In questo caso i traduttori hanno trasformato tutto senza criterio, utilizzando un linguaggio aulico e totalmente fuori contesto.
Abbiamo scelto l’esempio banale di Xenoblade ma avremmo potuto citare tanti altri giochi giapponesi. Pensiamo all’orrida localizzazione di Ni No Kuni, infarcita da un improbabile romanesco, alla serie punta di Square e Nintendo, e tanti altri titoli in cui i tratti distintivi dei personaggi subiscono alterazioni senza ritegno.
Localizzare il giapponese è un compito davvero arduo, su questo non ci piove. Ma non ha senso stravolgere il carattere dei personaggi e i loro dialoghi. E’ infatti possibile tradurre un gioco giapponese rispettandone il contenuto originale, senza stuprarlo e piegarlo alla propria pigrizia.
Ne è un chiaro esempio la traduzione tedesca di Final Fantasy X. E’ stata realizzata partendo dalla lingua originale, quindi senza passare per l’inglese. Il risultato è di gran lunga più fedele e coerente all’opera di base, ma anche più godibile.
Reinventare i personaggi riducendoli a stereotipi della cultura occidentale e riempirne i dialoghi di dialetti come con Ni No Kuni o Final Fantasy IX è una pratica, secondo noi, da eradicare senza mezze misure.
Impossibile non citare Yakuza tra i giochi giapponesi più rilevanti
Così come lo è il recente trend di censure imposte silenziosamente dal pubblico nostrano a cui si sono associati fin troppi publisher. Nomi importanti come Koei Tecmo e Nintendo, chiaramente spaventati dalle reazioni delle feminazi nei confronti di argomenti come sessualità e diversità nei videogiochi.
Uno dei casi degli ultimi anni, quello di Fire Emblem Fates, non dimostra altro che un timore reverenziale delle aziende giapponesi verso l’atteggiamento bacchettone dell’Occidente, pronto a snaturare interi script con il solo fine di sentirsi meglio con se stesso.
C’è paura del diverso, di una contaminazione culturale costruttiva che può avvenire anche attraverso i videogiochi. Esiste dunque una volontà di eliminare ogni riferimento al mondo orientale, annullare il piacere della scoperta.
Esempi immediati sono quelli di altri giochi giapponesi, come alcuni Ace Attorney, in cui l’ambientazione passa dal Giappone ad altre località. C’è anche il quasi sconosciuto Jake Hunter, dove Tokyo diventa una città americana fittizia e tutti i personaggi cambiano ovviamente nome.
Ora, noi non pretendiamo affatto una traduzione 1:1 del materiale originale. E’ ovvio che i cambiamenti siano necessari, si parla di localizzazione, non di semplice traduzione. Ma di certo non dovrebbe diventare un risciacquo in salsa occidentale del lavoro originale. Non si può partire dall’idea che l’utente finale debba essere per forza terrorizzato dalle diversità culturali. In gergo si chiama post-colonialismo.
Dove sono finiti i principi di educazione alla conoscenza e al rispetto delle culture altrui? Tantissimi utenti acquistano giochi giapponesi anche per scoprire di più sugli usi e i costumi – se non addirittura la lingua – del suo popolo. E alla fine ci si vede tristemente costretti a ricorrere all’import.
Giochi giapponesi bistrattati all’epoca della prima PlayStation, con Final Fantasy IX
Auguriamoci che i publisher possano imparare a rispettare la fantasia e la sensibilità degli autori che gli forniscono materiale lavorativo. Bisogna offrire ai giocatori la possibilità concreta di abbracciare un’esperienza immersiva e totalizzante. Ciò significa anche priva di tagli del tutto arbitrari dettati da pigrizia e, in tanti casi, anche da ignoranza.
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